Anche l’Egitto non ci ha lasciato quasi nessun documento
cartografico. I faraoni organizzarono spedizioni militari, missioni
commerciali e pure spedizioni esplorative. Uno di questi primi viaggi
fu intrapreso negli anni 1493 - 1492 a.C. per mare alla mitica Terra
del Punt (probabilmente la Somalia). Questo è riportato in
un’iscrizione nel tempio di Der-el-Bahri. L’iscrizione è accompagnata
da una nave, ma non da una mappa. Erodoto dice di un altro viaggio,
ordinato dal faraone Necho (596-594 a.C.) per il quale navi fenicie
circumnavigarono l’Africa, dal Mar Rosso alle Colonne d’Ercole.
Si hanno altre descrizioni su mura di templi o su papiri, di
spedizioni, ma senza mappe. Soltanto nell’Egitto ellenizzato abbiamo un
approccio teorico alla cartografia al punto che possiamo ritenere che
le mappe siano state un prodotto dell’ingegno greco. Sappiamo da
Erodoto che durante la campagna contro gli Sciti da parte del faraone
Sesostri (1400 a.C. circa) tutta la terra conquistata venne
cartografata.
Non vi possono essere dubbi che gli Egizi possedevano un archivio
catastale. I rilievi topografici devono essere stati molto sviluppati
perché le inondazioni annuali del Nilo portavano via le pietre miliari
di confine, e ogni volta i nuovi confini dovevano essere ritracciati
(il ritracciamento era un'operazione molto importante che aveva
evidentemente attinenza con il fisco).
Presso il Museo Egizio di Torino è conservata una mappa schematica
delle miniere d’oro della Nubia. Si ritiene che la mappa sia stata
redatta all'epoca del regno di Ramsete IV (1150 a.C.), che diede inizio
a un sistematico survey terrestre del suo impero. La parte più
importante della rappresentazione è quella che viene generalmente
chiamata la mappa delle miniere d'oro, rappresenta due grandi arterie
stradali che corrono orizzontalmente parallele attraverso una regione
montuosa rossiccia. Si hanno anche iscrizioni ieratiche. | |
L'interpretazione della seconda parte del papiro presenta ancora delle
difficoltà, per cui non è ancora stata portata a termine. In figura una
possibile interpretazione. | |
la geografia di Omero
La concezione del mondo dei tempi omerici quale disco circolare
piatto, circondato completamente dalle acque di un unico fiume, rimase
una nozione popolarmente radicata nel mondo greco, anche dopo che molti
filosofi e scienziati avevano accettato la nozione della sfericità
della Terra, enunciata dai Pitagorici e altri, ed affermata con prove
teoretiche da Aristotele. Secondo quella concezione, subito al di sotto
della superficie si trovava la dimora dell'Ade, il regno della Morte,
e, ancora al di sotto, il Tartaro, il regno dell'eterna oscurità.
All'esterno del fiume Oceano si elevava la volta cristallina (solida)
celeste.
Da parte di alcuni si vuole fare riferimento alla
descrizione che Omero dà nell'Iliade dello scudo di Achille come della
prima rappresentazione cartografica-cosmologica. Infatti, per un lungo
tempo, le primitive rappresentazioni dell'ecumene (mondo abitato)
inclusero anche riferimenti cosmologici.
Efesto, il fabbro
divino, modellò lo scudo di Achille su tre diversi strati di metallo.
Al centro erano rappresentate scene terrestri, tra le quali due città,
una in pace e l'altra in guerra, nella zona periferica, invece, era
rappresentato il fiume Oceano. Tra i più notevoli elementi cosmologici
erano rappresentate le costellazioni di Orione, delle Pleiadi e
dell'Orsa Maggiore, nonchè il Sole e la Luna. Queste due figure si
riferiscono a una ricostruzione eseguita da uno scultore moderno.
il passo di Omero, dal Libro XXVIII dell'Iliade:
Cinque dell'ampio scudo eran le zone
e gl'intervalli che, con divin sapere,
d'ammiranda scultura avea ripieni.
Ivi ei fece la Terra, il mare, il cielo
e il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla
incoronata la celeste volta,
e le Pleiadi, e l'Iadi, e la stella
d'Orion tempestosa, e la grand'Orsa
che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
ella si gira ed Orion riguarda,
dai lavacri del mar sola divisa.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il gran fiume Ocean l'orlo chiudea
dell'ammirando scudo . . .
la cartografia greca
Nel VI secolo a.C., nell'antica Grecia, è possibile individuare una cartografia concepita a fini
prettamente culturali. Il primo greco che abbia costruito una carta
geografica del mondo è Anassimandro (Mileto 610 -546 a.C.), un
discepolo di Talete. Purtroppo, nessuna delle sue carte è
sopravvissuta. Di certo, sebbene solo una piccola porzione della Terra
fosse conosciuta dagli antichi Greci, la forma della Terra venne ad
assumere sempre maggior importanza per la cartografia. C'è ancora ampia
discussione su quale forma Anassimandro attribuisse alla Terra (se
sferica o cilindrica).
Secondo Diogene Laerzio, il commentatore del
secolo III d.C. dal quale deriviamo molte delle notizie sui filosofi
della Scuola jonica, Anassimandro fu il primo a tracciare uno schema
(perimetron) del mondo, e pure il primo a costruire un globo.
Pitagora, nel VI secolo a.C., sembra essere stato il primo a pensare ad
una Terra sferica, ma fu solo nel secolo successivo che Parmenide
argomentò in questo senso. Attorno al 350 a.C. Aristotele espose sei
argomenti a prova della sfericità della Terra e fu da allora che in
ambiente scientifico venne accettata generalmente tale concezione.
Erodoto
Erodoto (Alicarnasso 484 a.C. ca. - Turi 425 a.C. ca.). Storico greco
famoso per aver descritto paesi e persone da lui conosciute in numerosi
viaggi. In particolare, ha descritto l'invasione persiana in Grecia
nell'opera 'Storie'. Nato da una famiglia aristocratica di Alicarnasso,
in Asia minore, con sangue per metà greco e per metà asiatico, la
madre, Dryò, era infatti greca mentre il padre, Lyxes, asiatico. Visse
così nella sua città di nascita sino a quando, dopo aver partecipato ad
una sollevazione contro il tiranno Ligdami, fu costretto all'esilio
sull'isola di Samo. Ritornò in patria intorno al 455 a.C. vedendo così
la cacciata, forse collaborandovi, di Ligdami.
Dopo
poco tempo partì per viaggi che gli permisero di visitare gran parte
dei luoghi toccati dal Mediterraneo orientale, in particolar modo
l'Egitto. Soggiornò a lungo ad Atene intorno all'anno 447 a.C., dove
conobbe Pericle e Sofocle, per poi stabilirsi nella colonia greca di
Turi (in Magna Grecia), alla cui fondazione collaborò, intorno al 444
a.C.. La tradizione vuole che morisse negli anni successivi allo
scoppio della Guerra del Peloponneso, convenzionalmente nel 425 a.C.,
nella città di Turi. In realtà luogo, data e circostanze della sua
morte rimangono ancora sconosciute.
'Padre della storia', Erodoto
fu anche un po' il padre della geografia antropica, almeno nel quadro
del nostro patrimonio superstite di letteratura greca. Nel corso della
sua vita, che va dalle guerre persiane all'inizio della guerra del
Peloponneso, egli potè viaggiare senza troppe difficoltà in molte
province dell'impero persiano (del quale era nato suddito) e
raccogliervi materiale di prima mano. Altro ancora raccolse da fonti
scritte, tra le quali la più importante dovette essere Ecateo. Erodoto
è un osservatore instancabile di civiltà e costumi, anche se di rado
supera i pregiudizi inerenti alla sua formazione; in questo senso non
gli si può togliere un posto notevolissimo nella storia della geografia
antropica.
Davanti
al mondo della geografìa fìsica egli ha invece un atteggiamento da
dilettante: è un attento raccoglitore e vagliatore delle opinioni
circolanti al suo tempo, che cerca di formarsi una propria idea sui
principali quesiti che occupavano gli intelletti. Il mondo da lui
conosciuto ha limiti precisi: ne restano al di fuori l’Asia
settentrionale e orientale; l'Africa è fortemente sottovalutata nella
sua estensione verso sud. Anche sull'Europa del nord-ovest Erodoto è
poco informato: non è sicuro se essa sia circondata dal mare o no, e
non sa nulla della catena delle Alpi.
Quanto alla forma che egli attribuiva alle terre e ai mari, e quanto
essa fosse corretta, ben poco si può dire: nessun prodotto della
cartografìa antica è sopravvissuto prima delle carte, peraltro
ricostruite, di Tolomeo. Al tempo di Erodoto esistevano carte (ioniche)
dell’ecumene conosciuta, di forma circolare. Erodoto ne ride, come più
tardi farà anche Aristotele, certo a causa del loro schematismo che
faceva forza alla realtà dei fatti. Ma da schematismi preconcetti non
era immune neanche Erodoto, come quando immaginava i corsi del Nilo e
dell’Istro rigorosamente speculari, pendant l’uno dell'altro.
All’ecumene
rotonda degli Ioni, Democrito (morto novantenne fra il 380 e il 370
a.C.) ne sostituì una di forma oblunga, che rimase generalmente in auge
per tutta l’antichità, pur fra opinioni divergenti sul rapporto fra
lunghezza e larghezza (da qui deriva il nostro uso dei termini
latitudine e longitudine).
Il termine Ecumene (anche oikoumene)
deriva dal sostantivo 'oikos' (casa) e dal verbo 'meni' (vivere),
entrambi della Lingua greca, per cui l'ecumene è 'la casa dove tutti
viviamo'. Il termine, con il trascorrere del tempo ha assunto due
valenze, una prima valenza geografica di descrizione del mondo
conosciuto e una filosofico-religiosa di appartenenza ad un gruppo
particolarmente attento a una fede o a una teoria filosofica.
Per la
geografìa ionica e per Erodoto la terra è ancora una superfìcie piana,
cosa che preclude la comprensione di una quantità di fatti astronomici
e climatici: così Erodoto pensa che in India faccia caldo soprattutto
al mattino, dato che questo paese è vicinissimo al sole levante. Ma
l’idea della terra sferica era certamente già apparsa al suo tempo,
probabilmente dapprima non in Ionia, ma nelle colonie greche
d'occidente.
Eratostene
Nel 250 a.C. circa Eratostene di Cirene (276 ca. - 194 ca. a.C.)
misurò la circonferenza della Terra ed un arco di meridiano. Diede un
ulteriore importante contributo alla cartografia facendo uso di un
reticolato per determinare la posizione dei luoghi della Terra. Era
stato nominato all’incarico di direttore della Biblioteca di
Alessandria, che probabilmente era dotata di poche carte geografiche,
ma di molte mappe catastali. Strabone, dal quale sono derivate la
maggior parte delle notizie su Eratostene, si riferisce in maniera
piuttosto confusa alla carta di Eratostene.
Il primo, però, ad adottare una simile griglia fu, circa 50 anni
prima, il messinese Dicearco, allievo di Aristotele. Oggi usiamo
latitudine e longitudine per determinare le coordinate di un luogo e il
reticolo di Eratostene era di natura simile. E’ da notare che l’uso di
una tale griglia posizionale rappresenta un'anticipazione della
geometria cartesiana. Seguendo l’esempio di Dicearco, Eratostene scelse
una retta passante per Rodi e le Colonne di Ercole (l’attuale
Gibilterra) come una delle linee principali della sua griglia. Questa
linea si trova, con un grado di accuratezza abbastanza alto, a 36°
nord, ed Eratostene la scelse poiché divideva il mondo a lui conosciuto
in due parti di uguale estensione. Fu così che definì il limite
est-ovest più lontano fino ad allora conosciuto. Come linea di
riferimento per le linee nord-sud della sua griglia scelse la
perpendicolare passante per Rodi e disegnò poi sette linee parallele a
quella di riferimento per formare una griglia rettangolare.
Ipparco di Nicea
Ipparco da Nicea (190-125 a.C.) fu sicuramente il più grande
astronomo dell’epoca greca. Criticò Eratostene per l’arbitrarietà con
la quale aveva scelto i punti di riferimento delle sue mappe e per non
aver trattato l’argomento in modo sufficientemente matematico. Suggerì
che una griglia avrebbe dovuto essere scelta per importanza astronomica
in modo che, per esempio, nei punti sulla stessa linea il giorno più
lungo (solstizio d’estate) avesse la medesima durata. Non risulta che
Ipparco abbia costruito mappe terrestri, tuttavia fece importanti
osservazioni astronomiche che lo portarono a definire undici paralleli.
Ipparco effettuò le proprie osservazioni soprattutto da Alessandria e
da Rodi, dove operò tra il 146 e il 127 a.C.; è considerato il
fondatore dell’astronomia osservativa, ma va tenuto presente che
dell’opera dei suoi predecessori non ci rimane neppure un frammento, a
parte un lavoro assolutamente minore di Aristarco di Samo (Sulle
dimensioni e le distanze del Sole e della Luna) e un passo
dell’Arenario di Archimede, in cui è descritta la teoria eliocentrica
di Aristarco stesso. Non è che di Ipparco ci rimanga gran che: soltanto
il Commentario ai 'Fenomeni' di Arato, che è sopravvissuto,
probabilmente, solo grazie alla popolarità del poema.
Per quanto ne sappiamo, è ad Ipparco che si deve la trasformazione
dell’astronomia matematica greca da scienza descrittiva a scienza
predittiva. Si trattò certamente di un vero e proprio genio, e di un
vero e proprio scienziato: un innovatore sia in matematica che nelle
tecniche di osservazione; ma non sarebbe stato certamente in grado di
compiere la sua opera senza una dettagliata conoscenza dell’astronomia
mesopotamica, dell’immenso archivio di registrazioni di oltre cinque
secoli di osservazioni, e delle potenti tecniche matematiche atte a
calcolare e predire fenomeni di natura lunare o planetaria, sviluppate
dagli astronomi mesopotamici e che erano ancora in uso al suo tempo.
Non sappiamo come Ipparco abbia acquisito tali conoscenze: come già
detto, purtroppo di questo genio ci resta solo un’opera minore, e la
maggior parte delle nostre conoscenze su di lui ci vengono dal suo
tardo successore Tolomeo e da altre fonti secondarie; in ogni modo, è
certo che egli fu il principale canale di trasmissione di tali dati
scientifici al mondo greco.
Tale abbondanza di dati fu preziosa non solo per Ipparco stesso, ma
anche per i suoi successori, soprattutto Tolomeo. E l’importanza delle
sue fonti mesopotamiche non è solo nell’immensa mole degli archivi di
dati, ma anche nelle teorie matematiche che egli importò in Grecia,
quali il sistema posizionale sessagesimale, che Ipparco adottò, pur con
qualche modifica, rimpiazzando la pesante e macchinosa struttura di
unità frazionarie allora in uso. Grazie a tale innovazione costruì le
sue tavole astronomiche, e suddivise l’eclittica (e i cerchi in genere)
in 360 gradi.
Ipparco costruì strumenti astronomici (probabilmente si deve a lui
l’invenzione dell’astrolabio piano) e perfezionò molti di quelli
esistenti; determinò la lunghezza dell’anno solare a 5 minuti di meno
dei 365 giorni e 6 ore, misura allora generalmente accettata, computò
la grandezza, la distanza, il moto del Sole e della Luna, scoperse la
precessione degli equinozi. E, soprattutto compilò, come già detto, il
primo catalogo di stelle nella storia dell’astronomia.
Ipparco trascorse probabilmente molti anni osservando e registrando le
posizioni delle stelle fisse. Apparentemente, lo scopo era quello di
delineare un globo stellare, e possiamo farci un’idea dei suoi
risultati attraverso il già citato Commentario ai 'Fenomeni' di Arato.
Fu certamente nel corso di questo lavoro di confronto fra le sue
osservazioni e quelle dei suoi predecessori greci che si accorse che le
longitudini delle stelle fisse, misurate dall’intersezione
dell’equatore celeste e dell’eclittica, aumentano lentamente nel tempo
(la precessione degli equinozi).
Il catalogo di Ipparco constava di circa 850 stelle; egli fu il primo a
stabilire le posizioni delle stelle per mezzo di coordinate celesti
(latitudini ed longitudini basate sull'eclittica) e a suddividerle in
sei magnitudini; e tra le stelle inserì almeno due oggetti dall’aspetto
nebulare: l'ammasso del 'Praesepe' nel Cancro (M44) che definì 'piccola
nube' ed il doppio ammasso nell'elsa della spada di Perseo che definì
'una macchia nebbiosa'. Secondo Plinio Ipparco fu spinto ad
intraprendere la compilazione del suo catalogo dall'apparizione di una
"nova" o stella nuova nella costellazione dello Scorpione nel 134 a.C.
Nonostante nessuna copia del lavoro di Eratostene e Ipparco sia giunta
fino a noi, ne abbiamo conoscenza grazie alla Geografica di Strabone,
opera completata circa nel 23 a.C.. Strabone fa un resoconto critico
dei primi contributi alla cartografia ma dedica soltanto una piccola
discussione al problema del proiettare una sfera su un piano. Dice
chiaramente che il suo lavoro non è rivolto ai matematici ma piuttosto
a chi necessita di conoscere le abitudini dei popoli e le risorse
naturali della Terra.
Tolomeo
L’ultimo e più importante contributo greco che consideriamo è
quello del celebre Claudio Tolomeo, astronomo, geografo e matematico
vissuto fra il 90 e il 170 d.C., che stabilì il fondamento della
geografia matematica e della cartografia cosmografica antica.
| Claudio
Tolomeo (in greco Klaudios Ptolemaios, in latino Claudius Ptolomaeus;
ca. 85 - ca. 165), noto semplicemente come Tolomeo, è stato un
astronomo greco di epoca imperiale che probabilmente visse e lavorò ad
Alessandria d'Egitto. Considerato uno dei padri della geografia, fu
autore di due importanti opere scientifiche, la principale delle quali
è il trattato astronomico noto come Almagesto (in greco 'Hè Megalè
Syntaxis', 'Il grande trattato'). Come per larga parte della scienza e
della filosofia greca classica, è pervenuto ai nostri giorni attraverso
manoscritti arabi che furono tradotti in latino da Gerardo da Cremona
solo nel XII secolo.
Claudio Tolomeo, precursore della geografiaIn questo lavoro, una delle
opere più influenti dell'antichità, Tolomeo raccolse la conoscenza
astronomica del mondo greco e babilonese, basandosi soprattutto sul
lavoro svolto tre secoli prima da Ipparco. Tolomeo formulò un modello
geocentrico (che da lui prenderà il nome, tolemaico, appunto) del
sistema solare che rimase riferimento per tutto il mondo occidentale
(ma anche arabo ed indiano) fino a che non fu sostituito dal sistema
solare eliocentrico di Copernico.
Anche i metodi di calcolo illustrati nell'Almagesto (integrati nel XII
secolo dalle cosiddette Tavole di Toledo, di origine araba) si
dimostrarono di accuratezza sufficiente per i bisogni di astronomi,
astrologi e navigatori almeno fino all'epoca delle scoperte
geografiche. |
L'Almagesto contiene pure un catalogo di stelle, probabilmente un
aggiornamento di un analogo catalogo compilato da Ipparco. L'elenco di
quarantotto costellazioni che vi è contenuto è l''antenato' del sistema
di costellazioni moderne, ma non poteva coprire l'intera volta celeste
poiché questa non è completamente accessibile dalle latitudini del
Mediterraneo, nelle cui vicinanze vissero Ipparco e Tolomeo.
L'altra opera importante di Tolomeo è la Geografia. Anche questa è un
compendio di tutta la geografia nota nel mondo romano all'epoca in cui
egli scriveva. Le sue fonti principali furono l'opera del geografo
Marino di Tiro e resoconti di viaggi attraverso l'impero romano, la
Persia ed altrove, ma gran parte delle informazioni relative a paesi al
di fuori dell'impero erano inaccurate.
La mappa dell'oikoumenè (mondo abitato) di Tolomeo. La prima parte della
Geografia contiene una discussione dei dati e dei metodi impiegati.
Come per il modello del sistema solare dell'Almagesto, Tolomeo collocò
tutte le sue informazioni in uno schema coerente. Assegnò coordinate a
tutti i luoghi di cui era a conoscenza, ponendoli su una griglia che
copriva l'intero globo terrestre.
La latitudine era misurata a partire dall'equatore, come si fa anche
oggi, ma Tolomeo preferì esprimerla in termini di lunghezza del giorno
più lungo anziché in gradi (la lunghezza del giorno del solstizio
estivo varia da 12 a 24 ore muovendosi dall'equatore al circolo
polare). Fissò il meridiano di longitudine 0 in corrispondenza del
territorio più occidentale di cui fosse a conoscenza, le isole Canarie.
Tolomeo scoprì e divulgò i metodi per creare mappe sia dell'intero
mondo abitato (oikoumenè) che delle singole province romane. Nella
seconda parte della Geografia, fornì delle liste di luoghi e
descrizioni delle sue mappe. Il suo oikoumenè copriva 180 gradi di
longitudine, dalle Canarie (nell'Oceano Atlantico) alla Cina, e circa
80 gradi di latitudine, dal Mare artico all'Estremo Oriente (India
Transgangetica) ed all'Africa centrale.
Tolomeo era conscio di conoscere meno di un quarto del mondo.
Tuttavia le mappe presenti nei manoscritti esistenti della Geografia
tolemaica datano solo all'inizio del XIV secolo, quando il testo fu
riscoperto da Maximus Planudes. Mappe basate su principi scientifici
erano state realizzate fin dai tempi di Eratostene (III secolo a.C.),
ma Tolomeo inventò e migliorò il metodo delle proiezioni.
Nel XV secolo la Geografia fu stampata assieme ad alcune mappe ben
disegnate. Rispetto a quelle attuali, sono distorte sia perché i dati
di Tolomeo erano inaccurati, sia perché egli stimò una dimensione
troppo piccola per la Terra: Eratostene aveva stimato che un grado
corrispondesse a 700 stadi, ma Tolomeo preferì usare 500 stadi per
grado. Non è chiaro se entrambi usassero la stessa definizione di
stadio, ma assumendo che entrambi si riferissero allo stadio attico di
circa 185 metri, la stima di Eratostene è troppo grande di circa un
sesto, mentre quella di Tolomeo è troppo piccola, sempre di un sesto.
Tolomeo derivò la maggior parte delle sue coordinate convertendo misure
lineari di distanza in angoli, pertanto le sue mappe sono distorte. Le
sue latitudini avevano errori che arrivavano fino a 2 gradi. Per le
longitudini (come anche Tolomeo sapeva) la situazione era anche
peggiore, poiché non esistevano metodi affidabili per determinarla (per
la latitudine invece basta misurare l'altezza della stella polare), e
rimase un problema insoluto per la geografia fino all'invenzione del
cronometro (XVIII secolo). La figura illustra la dimensione eccessiva
che Tolomeo attribuì ad Europa-Asia, rispetto alla realtà (il tracciato
a tratto pieno è quello che si rifà a Tolomeo).
Bisogna
aggiungere anche che non è possibile ricostruire le sue liste
topografiche, sia per via di errori nella trascrizione dei manoscritti,
sia per via di continue aggiunte o modifiche con dati più aggiornati,
cosa che testimonia la diffusione di questa opera.
la cartografia romana
Se i greci si preoccuparono principalmente di problemi teorici e
speculativi, tesi a descrivere più una concezione del mondo che un
percorso concreto, cercando soluzioni astratte attraverso il
ragionamento matematico, ad esempio, le distanze marittime espresse in
giornate di navigazione costituivano poco più di una indicazione
generica (risultando altamente variabili a seconda del tipo di
imbarcazione utilizzato, del carico e delle condizioni atmosferiche), i
romani si occuparono soprattutto della soluzione di necessità
immediate, trattando sempre di impiegare forme di espressione semplici
e decisamente più pragmatiche.
I portolani (il nome deriva dalla parola latina portus, porto, è un
manuale per la navigazione costiera e portuale) romani superstiti,
giunti ad oggi in forma molto frammentata e grazie alla riproposizione
che se ne fece nei codici medievali, sono fondamentalmente due,
l’Itinerarium Maritimum, un breve testo descrittivo di due rotte
complete (tra cui quella Roma-Arles, nella quale si trova notizia anche
della costa pisana, ma non ancora l’indicazione del porto di Livorno,
sorto probabilmente solo tra il 580 e il 603 d.C.), realizzato tra il
450 e il 535 d.C., e lo Stadiasmus Maris Magni, del V secolo d.C., che
ci fornisce una descrizione dettagliata dei porti del Mediterraneo.
Di fatto, nonostante sia indubbia la conoscenza da parte della società
colta romana dei lavori cartografici di Claudio Tolomeo di Alessandria
(vissuto tra il 90 e il 168, in coincidenza dei regni di Traiano,
Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio), la civiltà romana si segnalò
per la sua maestria nella rappresentazione topografica delle opere di
fortificazione militare e delle reti viarie, trascurando però il
contributo delle proiezioni geometriche e le applicazioni matematiche
del concetto di sfericità, principali scoperte della scienza greca
applicata alla cartografia.
Del resto, nel mondo romano, la navigazione marittima non costituì mai
una preoccupazione reale, per essere una cultura prevalentemente
terrestre. Si ricordi che la Repubblica Romana non ebbe una vera forza
navale almeno fino alla Prima Guerra Punica (264-241), e che persino
negli ultimi tempi dell’Impero la navigazione continuava a costituire
una specialità riservata ai greci, ai fenici e ad altri popoli
costieri. I viaggi di breve distanza non necessitavano di ausilio
cartografico per esperirsi attraverso territori conosciuti, mentre,
quanto agli spostamenti a grandi distanze, l’amministrazione romana
realizzò una serie di 'itinerari', antenati delle mappe stradali, ma
realizzate in maniera molto elementare, senza pretese di esattezza
geografica, ma solo utilizzando un criterio di organizzazione per tappe
di marcia, calcolate sulla base dei ritmi dei soldati semplici
addestrati alla marcia regolare.
Ad ogni modo, soprattutto dopo le elaborazioni avvenute in età
augustea, il portolano romano poteva contenere già un elevato numero di
informazioni utili per la navigazione, presentando sia il resoconto
topograficamente ordinato delle coste del Mediterraneo, inizialmente a
partire dalla colonne d’Ercole, ma in seguito anche dal porto di
origine, il periplo delle singole isole con l’indicazione delle
distanze dai porti, dei rilievi e delle distanze specifiche,
descrizioni più dettagliate ed esatte, con l’indicazione di traversate
e cabotaggi, di rotte privilegiate per motivi commerciali o militari,
interessate dai servizi di posta o da previsione di viaggi imperiali.
Pomponio Mela
Pomponio
Mela, geografo e scrittore latino del I secolo, nato a Tingentera,
presso Gibilterra. Dei suoi scritti possediamo la più antica opera
geografica conservata della letteratura latina. Vari sono i titoli
riferiti a questa, la 'Chorogràphia' (Descrizione dei luoghi),
'Cosmographia' (Descrizione del mondo) ovvero 'De situ orbis' (La
posizione della terra). Questo libro, come si può già identificare
dai suoi titoli, sta ad indicare come da sempre gli uomini hanno innata
la voglia di consocenza dello spazio che occupano: che sia esso un
bambino che inizia a conoscere lo spazio casalingo od un primitivo che
disegna il proprio villagio all'interno di una grotta.
Nel mondo classico greco-latino questa percezione di spazio si fa
sempre più analitica e scientifica. Pomponio Mela, nato con molta
probabilità al limite massimo del mondo conosciuto ai tempi (Colonne
d'Ercole), subisce questo fascino per il mondo, i posti lontani poco
conosciuti: non è una caso la sua presunta ibericità! Infatti l'opera,
secondo un gusto per le favole mitiche e per i fatti e le cose
straordinarie, definisce quali possano essere i confini della terra
descrivendo i luoghi più remoti: prendendo come punto di riferimento il
Mediterraneo e partendo da Gibilterra segue in senso antiorario una
descrizione dell'oikumene cioè dei luoghi abitati in particolari quelli
lungo le coste e tratta più sommariamente i territori interni.
L'interesse descrittivo di Mela si pone sulla descrizione fisica dei
luoghi, ma talvolta descrive anche le città. Non era certo un mondo
molto grande, rispetto a come lo conoscioamo oggi, quello descritto da
Mela, ma dopotutto le navi allora non erano ancora capaci di
attraversare i grandi oceani quindi scoprire nuovi continenti, e poco
era l'interesse per esplorare l'Africa che veniva denigrata dicendo
'Hic sunt leones' (Là ci sono i leoni). Sicuramente anche la presenza
del deserto non favoriva l'interesse ad una conquista politico militare
in quei luoghi e la Geografia, nonostante la presunzione di alcuni
geografi di condurla sul binario di scienza oggettiva, è in realtà una
descrizione dello spazio che risente del periodo storico e quindi del
grado di tecnologia e cultura, degli aspetti sociali e anche degli
avvenimenti storici del momento in cui viene elaborata la descrizione.
A questo proposito va sottolineato come l'opera di Mela abbia anche
degli intenti cortigiani dal momento che sono accennati al suo interno
i trionfi del 44 d.C., quindi possiamo dare un periodo, datare l'opera
durante l'impero di Claudio.
L'opera ha uno stile caratterizzato da
rapidità e concisione che fa credere che potesse essere un compendio
destinato per le scuole o per il grande pubblico quasi come una odierna
guida per i viaggi. Vengono utilizzate clausole ritmiche che mostrano
pretese artistiche dell'autore, ma non mancano talvolta anche errori.
La narrazione risente a volte dell'influsso di Cesare, Livio e di
Cornelio Nepote. Tra le fonti vanno annoverate le opere di Strabone,
Posidonio, Eratostene (per le nozioni) ed Erodoto (per i fatti
meravigliosi). Sono inserite a volte digressioni a carattere storico o
letterario o anche etnografico per spezzare l'arido tecnicismo della
materia.
Tavola Peutingeriana
La Tavola Peutingeriana o Tabula Peutingeriana è una copia del
XIII secolo di un'antica carta romana che mostrava le vie militari
dell'Impero. Porta il nome dell'umanista e antichista Konrad Peutinger
(Augsburg, 14 ottobre 1465 - 28 dicembre 1547), che la ereditò dal suo
amico Konrad Bickel. Peutinger avrebbe voluto pubblicare la carta, ma
morì prima di riuscirci.
La Tavola è composta da 11 pergamene riunite in una striscia di 680 x
33 centimetri. Mostra 200.000 km di strade, ma anche la posizione di
città, mari, fiumi, foreste, catene montuose. Non è una proiezione
cartografica, quindi il formato non permette una rappresentazione
realistica dei paesaggi nè delle distanze, ma non era questa
l'intenzione di chi l'aveva concepita. La carta va piuttosto
considerata come una rappresentazione simbolica, una sorta di diagramma
come quello di una metropolitana, che permetteva di muoversi facilmente
da un punto ad un altro e di conoscere le distanze fra le tappe, ma non
voleva offrire una rappresentazione fedele della realtà.
La Tabula è probabilmente basata sulla carta del mondo preparata da
Marco Vipsanio Agrippa (64 a.C. - 12 a.C.), amico e genero
dell'imperatore Augusto e, tra l'altro, costruttore del Pantheon. Si
pensa che la sua redazione fosse finalizzata ad illustrare il cursus
publicus (cioè la rete viaria pubblica sulla quale si svolgeva il
traffico dell'impero, dotata di stazioni di posta e servizi a distanze
regolari, che era stata appunto riordinata da Augusto). Dopo la morte
dell'imperatore, la carta fu incisa nel marmo e posta sotto la Porticus
Vipsaniæ, non lontano dall'Ara Pacis, lungo la Via Flaminia.
La Tabula mostra tutto l'Impero romano, il Vicino Oriente e l'India,
indicando il Gange e Sri Lanka (Insula Trapobane). Vi è menzionata
anche la Cina. Vi sono indicate circa 555 città e altre 3.500
particolarità geografiche, come i fari e i santuari importanti, spesso
illustrati da una piccola figura. Le città sono rappresentate da due
case, le città importanti - come Roma, Costantinopoli, Antiochia - sono
segnalate da un medaglione. Vi sono inoltre indicate le distanze, sia
pure con minore o maggior precisione.
Il primo foglio rappresenta l'est delle Isole britanniche, l'Olanda, il
Belgio, una parte della Francia e l'ovest del Marocco. L'assenza della
penisola iberica lascia supporre che un dodicesimo foglio, oggi
mancante, rappresentasse la Spagna, il Portogallo e la parte
occidentale delle isole britanniche. La Tabula fu infine stampata nel
1591 ad Anversa con il nome di Fragmenta tabulæ antiquæ dal famoso
editore Johannes Moretus.
Il manoscritto è generalmente datato al XIII secolo. Sarebbe opera di
un anonimo monaco copista di Colmar, che avrebbe riprodotto verso il
1265 un documento più antico. L'originale deve essere posteriore al
328, perché mostra la città di Costantinopoli, che fu fondata in
quell'anno. Tuttvia non doveva essere stato aggiornato, perché mostra
la città di Pompei, che non fu mai più ricostruita, dopo l'eruzione del
Vesuvio nel 79. D'altra parte, vi sono indicate alcune città della
Germania inferiore che furono distrutte e abbandonate dopo il V secolo.
La Tabula è attualmente conservata presso la Hofbibliothek di Vienna,
in Austria, e detta perciò 'Codex Vindobonensis'.
Ne esiste anche una copia in bianco e nero negli archivi della
cartothèque de l'IGN, situata a Saint-Mandé, nella prima banlieue di
Parigi. La sua datazione è problematica, così come la sua provenienza.
CARTOGRAFIA ISLAMICA
Non è del tutto corretto chiamare questo gruppo di mappe "mappe arabe",
perchè in esso sono contenute opere di Persiani, Siriani e persone di altra
nazionalità, ma siccome tutti i cartografi di questo gruppo scrivevano in
Arabo, il complesso è stato chiamato con il termine di Cartografia Islamica.
Può essere suddiviso in tre fasi.
- La prima fase, che fu influenzata da Tolomeo ed altri autori greci
- La fase intermedia, di cartografia puramente islamica
- La fase Arabo-Normanna
Dobbiamo precisare che una fase non può essere nettamente
separata da un’altra per ciò che riguarda il tempo. Si tratta di
una suddivisione non cronologica, ma eseguita in base alla forma
e ai contenuti. Malgrado la fase del periodo Arabo-Normanno sia
incominciata successivamente alle altre due, ci fu un’epoca in
cui cartografi arabi furono attivi in tutti e tre i gruppi.
Si sa poco della letteratura e della scienza araba precedente
l’era mussulmana. Fu soltanto verso la fine del VII secolo,
quando gli Arabi incominciarono ad avanzare verso est che
incominciò ad affermarsi la scrittura in arabo. Il primo impulso
fu dato dal califfo Abd al-Malik (646 - 705), che stabilì
l’arabo come lingua ufficiale di governo. Poco prima, Abal-Aswad
al-Duali (? - 688) aveva portato a termine una riforma
dell’alfabeto arabo, che fino a quel momento era stato adattato
alla fonetica siriana, ma ora venne adattato a quella araba. La
necessità di stabilire i mesi lunari e di fare predizioni
astrologiche, richiedeva conoscenze astronomiche, e per
conoscere la direzione della Mecca necessitavano conoscenze
geografiche. Per ordine del califfo Al-Mansur, delle tavole
astronomiche nel 772 vennero composte da Muhammad ibn
Ibrahim,
(conosciuto come al-Gazari). Queste tavole erano una traduzione
di tavole indiane. Al-Gazari, con il suo Sind-Hind (trattato
matematico-astronomico) diede inizio all’astronomia araba.
Questa metodologia indiana tenne banco tra gli Arabi fino al
tempo del califfo Al-Mamun (786 - 833) che la fece sostituire
dall’astronomia tolemaica. Al-Mamun stabilì un team di
traduttori siriani e inviò suoi emissari a comprare manoscritti
di Tolomeo a Bisanzio. Nello stesso tempo una serie di
osservazioni astronomiche fu eseguita a Bagdad nell’829 e a
Damasco nell’832 e queste formarono la base delle Tavole di
al-Mamun dette anche Tavole di Damasco.
Il testo di Tolomeo Elenco di località selezionate, forse nella
versione successiva di Teone di Alessandria, venne pure usato
per quest’opera, ma con i nomi vecchi sostituiti da nomi arabi.
Fu lo studioso arabo Muhammad ibn Kathir al-Farghani (morto
nell’830) - Alfraganus per gli Europei - che fece conoscere la
Geographia di Tolomeo. Egli introdusse anche la suddivisione
nelle zone climatiche, i cui confini coincidevano con quelli
dell’ecumene (mondo abitato).
Le Tavole di al-Mamun illustravano questa teoria, ma non davano
le longitudini e non fornivano niente più che un elenco
schematico di città disposte secondo i climi, assieme a
informazioni sulle strade, specificamente le distanze tra le
città e le direzioni delle strade. Da qui prese le mosse anche
la traduzione e l’adattamento di due altre opere di Tolomeo, la
Sintassi (in arabo Al magisti) e il
Geographia (in arabo Kitab
Gagrafiya).
E’ difficile dire se opere arabe autoctone abbiano preceduto
queste opere di origine greca. Mappe itinerarie dovevano essere
compilate per vari scopi, per missioni diplomatiche in paesi
lontani, per esempio in Cina negli anni 704 - 715. Per campagne
militari, per l’avanzata in Asia Minore e nell’Oxus, a partire
dall’anno 684. Per diverse spedizioni commerciali, per terra e
per mare. Tutte queste conoscenze pregresse vennero sostituite,
a partire dal secolo IX dalla nuova scienza del Gagrafiya.
Un esponente notevole di questa prima fase della cartografia
araba fu Muhammad ibn Musa al-Kwarizmi (circa 820), che scrisse
il testo descrittivo di una mappa, basando il suo lavoro sul
testo tolemaico del Geographia o sulla versione siriana di
qualche mappa bizantina. L’opera fu scritta dall' 817 all’826
per ordine del califfo al-Mamun, ma l’unico manoscritto
esistente è del 1036, e la prima parte di esso fu perduta e non
ritrovata fino al secolo XII. Il manoscritto (nell’università di
Strasburgo) è accompagnato da quattro mappe.
Le mappe zonali europee produssero imitazioni tra i cartografi
arabi: si hanno dei cerchi la cui parte inferiore è suddivisa in
zone climatiche, in ciascuna delle quali si ha una lista di
paesi. Si ebbero anche mappe che si limitavano ad indicare le
zone climatiche e semplicemente con i disegni di alcuni animali
o piante. Ibn-Said produsse tre versioni della stessa mappa, una
indicante solo le zone climatiche, un'altra con i confini di
continenti e oceani, e finalmente una mappa del mondo senza
zone.
La fase successiva di cartografia araba è caratterizzata da
collezioni di mappe distinte che accompagnano trattati
geografici, malgrado questi trattati abbiano un contenuto
abbastanza simile, non mostrano più alcuna traccia di
cartografia europea. Possiamo misurare la scarsa qualità
attribuita dagli Arabi alle mappe di Tolomeo dal rapido declino
della sua influenza sulle loro opere. Questo può suggerire che
gli Arabi non vennero a conoscenza delle mappe che divennero
note in seguito in Europa con il Geographia di Tolomeo.
Le mappe arabe di questo secondo gruppo sono opere schematiche
artistiche e ingegnose. Queste mappe sono costruite
magistralmente, ma gli itinerari delle strade non indicano le
distanze. A causa dei caratteri di uniformità di questa classe
di mappe, esse sono state dette gli Atlanti islamici. Un atlante
di questo tipo, generalmente consiste di una collezione di 21
mappe: una mappa del mondo, tre carte nautiche (il Mediterraneo,
il Golfo Persico e il Caspio) e 17 mappe di separati paesi
islamici, con un testo di contenuto standard.
Si è a conoscenza di quattro autori che inclusero delle mappe
nei loro trattati geografici. Questi furono Abu Zaid
al-Balkhi
(920), al-Ishtakhri (934), Ibn Haukal (980) e
al-Muqaddasi
(985).
La terza fase della cartografia araba è il periodo
arabo-normanno, e siccome vi si ebbe la produzione della
notevole opera di Idrisi, (1154) potrebbe essere chiamato il
Periodo di Idrisi. La sua opera è praticamente unica nel suo
genere. Si servì di materiale esistente arabo ed europeo e lo
rimodellò a suo modo. Molti in seguito copiarono da lui, ed
effettivamente a lui è dovuto il massimo credito per aver
impostato lo stile della cartografia di questo periodo.
Quando i progressi del commercio arabo verso l’Europa
incontrarono l’opposizione di Bisanzio, di Roma e di Venezia,
gli Arabi si diressero verso il nord, lungo il Caspio e su per
il fiume Volga. Le loro merci penetrarono fino in Lapponia e al
Lago Ladoga. La via d’acqua del Volga divenne molto trafficata
da Normanni, Russi, Kazachi e Arabi. Vi avvennero perfino
incontri tra geografi-cartografi. All’incirca nello stesso
periodo i conquistatori Normanni incominciarono la loro spinta
verso sud, e nel secolo XI si stabilirono in Italia meridionale.
Come è noto, durante il primo medioevo il gap culturale tra il
mondo cristiano e l'est bizantino-arabo si era accentuato. Ad
esempio, gli Islamici del Califfato Orientale avevano
familiarizzato con l'Almagesto e il Geographia. Basandosi sul
secondo, un certo numero di trattati arabi, intitolati Kitab
surat al-ard (Libro descrittivo della Terra) vennero redatti nel
periodo islamico iniziale.
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Uno di questi trattati geografici fu
composto perfino dal famoso Al-Kwarizmi. I cartografi arabi di
questo periodo si rifecero anche per le loro mappe alle
specifiche istruzioni di Tolomeo nel Geographia. Occorre dire
che i navigatori arabi penetrarono profondamente, oltre che
nella costa africana dell'Oceano Indiano, fino a Zanzibar e
oltre, anche a nord nelle pianure russe, attraverso i fiumi che
sfociavano nel Mar Nero (Dniestr, Dniepr e Volga), e si
spingevano correntemente fino in India e in Cina. All'ovest
infine erano familiari con la costa africana fino al Golfo di
Guinea.
Quale regola generale comunque, i primi cartografi arabi
redigevano le coste con molta stilizzazione, non preoccupandosi
della aderenza alla realtà.
A partire dal secolo XI l'espansionismo arabo dovette subire una
battuta d'arresto nell'Italia meridionale, dalla quale gli Arabi
furono espulsi (non proprio totalmente) dai Normanni, che vi si
stabilirono intorno al 1065-1070.
Va detto che i governanti normanni posero speciali cure nel
mantenere la cultura araba e anzi nel valorizzarla in tutti i
modi.
Il re normanno Ruggero II il Guiscardo, tra le molte
scienze, protesse specialmente la geografia. Palermo era
divenuta uno dei punti di incontro più celebrati di viaggiatori,
mercanti, pellegrini, crociati e studiosi di molte contrade.
Non sorprende quindi che alla corte di Re Ruggero prese corpo il
proposito di compilare un insieme organico di informazioni
geografiche su quanti più paesi possibile, integrato da una
carta geografica riassuntiva, il tutto evidentemente da
concretizzare in un libro.
Sotto il patronato di re Ruggero, fu
chiamato a corte il geografo Abdullah Ibn Idrisi, nato nel 1099
a Ceuta, per la compilazione di questo libro.
Il libro doveva contenere le coordinate di un gran numero di
località, le distanze tra di esse, la loro distribuzione secondo
le zone climatiche. Mappe delle varie regioni dovevano integrare
le varie parti. Il titolo del libro, secondo il costume arabo,
doveva essere La delizia di colui che desidera
viaggiare.
Idrisi stesso era stato un notevole viaggiatore, attraverso
Francia, Spagna, Inghilterra, a Costantinopoli e in Asia
Centrale. Da studente all'università di Cordova aveva avuto
accesso a una gran quantità di materiale scientifico proveniente
da diversi paesi e colà disponibile. Sembra anche che per la
buona riuscita dell'intrapresa, il re e Idrisi abbiamo reclutato
un certo numero di "certi unomini intelligenti" da inviare in
molti luoghi per eseguire gli opportuni rilievi geografici.
Il
libro risultante dal complesso di informazioni richiese più di
15 anni e dovette raggiungere una fama ben ragguardevole se
venne considerato l'opera geografica più completa e dettagliata
apparsa in Europa nel secolo XII. Il piano di quest'opera è
relativamente semplice e allo stesso tempo artificioso. Ciascuna
delle sette zone climatiche viene suddivisa in dieci sezioni
verticali, arrivando quindi alla suddivisione della superficie
terrestre in settanta quadrilateri sferici. Infine, ciascuna di
questi settanta quadrilateri viene descritto minuziosamente, con
l'accompagnamento di una carta geografica. Naturalmente Idrisi
tenne conto anche di descrizioni geografiche di predecessori.
La carta geografica di Idrisi assunse la forma finale di una
piastra d'argento, delle dimensioni di 3,5 x 1,5 metri.
Purtroppo, nel 1160 questa piastra cadde nelle mani di una
moltitudine di fanatici che la distrusse. Nel 1154 pochi mesi
prima della morte di re Ruggero il manoscritto dell'opera di
Idrisi in latino ed arabo fu completato, assieme alla mappa
rettangolare, che constava di 70 fogli, e assieme a una piccola
mappa mundi. Ruggero chiamò questo libro Nuzhat
al-Mushtak,
mentre l'autore lo chiamò Kitab Rudjar (il Libro di
Ruggero) e l'insieme delle mappe Tabula Rogeriana.
Le opere di Idrisi sono di eccezionale qualità in confronto a
opere similari dello stesso periodo, sia per la ricchezza dei
dettagli, ma principalmente per il metodo scientifico che vi era
impiegato.
Naturalmente, le sue descrizioni di certe regioni, ad esempio i
paesi del Mar Baltico, non sono precise, ma mostrano comunque i
suoi sforzi di interrogazione dei viaggiatori che avevano
visitato quelle regioni. Mostra di conoscere i grandi fiumi Danu
(Danubio), Arin (Reno) e Albe (Elba). Nomina la Danimarca e la
Snislua (Schleswig).
Purtroppo i contemporanei (specialmente cristiani-europei) di
Idrisi mostrarono un incredibile disinteresse per la sua opera,
evitando di tradurla in latino. La prima traduzione dell'opera
di Idrisi si ebbe a Roma solo nel 1619, e in una forma molto
abbreviata.
Secondo alcuni autori arabi, Idrisi compose nel 1161 un testo
più dettagliato ed una mappa per il figlio di Ruggero, Guglielmo
II. Mentre il primo libro era stato chiamato (da Idrisi stesso)
“Il divertimento di colui che desidera attraversare la
Terra”,
il secondo portava il titolo “I giardini dell’umanità e del
divertimento dell’anima”. Malgrado questa seconda opera non sia
sopravvissuta, una versione abbreviata, dal titolo “I giardini
della gioia” (1192) è sopravvissuta. Consiste di 73 mappe, sotto
forma di Atlante ed è ora nota come “Il piccolo Idrisi” .
Manoscritti di questa versione sono preservati in molte
biblioteche: a Parigi, Oxford, Leningrado, Costantinopoli e al
Cairo.
L’influenza di Idrisi durò a lungo. Fino al XVI secolo, a Sfax,
in Tunisia, una famiglia di cartografi di sette generazioni di
nome Sharfi, produceva mappe del mondo basate, sulle mappe di
Idrisi, malgrado mostrassero anche delle carte nautiche europee.
Nel 1551, un cartografo della famiglia Sharfi produceva un
atlante nautico accompagnato da una piccola mappa sinottica
rotonda, simile alla mappa di Idrisi.