Da: www.nonsolocittanova.it (con modifica dei font) e Da: http://digilander.libero.it/diogenes99/Cartografia/Cartografia01.htm

Cartografia

premessa

I primi tentativi cartografici di cui si è a conoscenza sono dovuti ai Babilonesi e agli Egizi, risalgono al III millennio a.C. ed ebbero come oggetto la delimitazione delle proprietà fondiarie o la rappresentazione rudimentale ed imprecisa di itinerari terrestri e di peripli marittimi. Successivamente, anche i Persiani ed i Fenici espressero capacità simili. Furono però le speculazioni cosmografiche degli antichi greci che diedero alla cartografia una base scientifica. Ad Anassimandro (VI secolo a.C.) si attribuisce la realizzazione della prima mappa del mondo allora conosciuto.
I geografi jonici del VI-V secolo a.C. disegnavano la Terra come un disco circondato dall’Oceano; da un disegno della Terra di forma oblunga del IV secolo a.C. sono derivati i termini di latitudine e longitudine. Pitagora ed Aristotele sostennero invece l’ipotesi di una Terra sferica; la circonferenza Eratostenedella stessa fu calcolata con notevole precisione da Eratostene di Cirene (Έρατοσθένης), (Cirene/Shahat, Libia, 276 a.C. circa - Alessandria d'Egitto, 194 a.C. circa), l’intellettuale più versatile della sua epoca. Bibliotecario della Biblioteca di Alessandria, matematico, astronomo, geografo e poeta, è oggi ricordato soprattutto per aver misurato per primo con grande precisione le dimensioni della Terra. Ad Eratostene spetta anche il merito di aver introdotto un reticolo arbitrario di inquadramento tracciando i meridiani ed i paralleli passanti per alcuni punti principali, mentre ad Ipparco si deve l’adozione di un reticolato geografico determinato geograficamente.
Successivamente, la circonferenza terrestre fu determinata anche da Posidonio, che tuttavia arrivò ad un risultato erroneo, di ben un terzo inferiore al reale, quest’ultimo valore fu comunque accettato da Claudio Tolomeo (II secolo d.C.), il fondatore della geografia matematica e della cartografia razionale, e, per l’autorità di questo grande geografo, ritenuto valido per secoli al punto da influenzare Toscanelli e Colombo. Di Tolomeo ci è giunta una raccolta di 27 carte di cui una generale, comprensiva del mondo allora conosciuto.
La cartografia romana ebbe un chiaro indirizzo pratico e perseguì finalità militari ed amministrative. Prodotto caratteristico, di cui rimane una pregevole copia medioevale, detta 'Tabula Peutingeriana', dal nome dell'umanista e antichista Konrad Peutinger (Augsburg, 14 ottobre 1465 - 28 dicembre 1547), che la ereditò dal suo amico Konrad Bickel. Peutinger avrebbe voluto pubblicare la carta, ma morì prima di riuscirci. La Tavola Peutingeriana o Tabula Peutingeriana, come detto, è una copia del XIII secolo di un'antica carta romana che mostrava le vie militari dell'Impero: su un rotolo di pergamena alto appena 34 cm e lungo poco meno di sette metri è rappresentato lo sviluppo stradale del tempo per un totale di circa 120.000 Km, in un contesto cartografico forzatamente deformato e stirato.

L'immagine mostra i Balcani, l'ex Jugoslavia, il mare Adriatico, l'isola di Cefalonia, la Puglia, la Calabria, la Sicilia e la costa libica

Dopo l’età classica, in seguito alle invasioni barbariche, la cartografia decadde. Una notevole ripresa si ebbe nel X secolo per mano degli Arabi che, grazie a misure accurate delle dimensioni della Terra e alla compilazione di tavole di latitudine e longitudine molto precise, eseguirono ottime carte nautiche del Mediterraneo e dell’Oceano Indiano.
Nei secoli XII e XIII le crociate, l’uso dell’ago calamitato e l’intensificarsi delle relazioni commerciali consentirono il rifiorire della cartografia europea, soprattutto in campo nautico. Di questo periodo rimangono per esempio oltre 100 copie del famoso Portolano normale, carta molto precisa illustrante i contorni del Mediterraneo e del Mar Nero.
Le grandi scoperte geografiche promossero un radicale rinnovamento della cartografia, favorito anche dal progresso delle varie discipline scientifiche, dall’invenzione della stampa e dai grandi interessi politici ed economici suscitati dalle nuove terre. Tra le tante e notevoli carte del periodo rinascimentale si possono ricordare la carta del mondo in 12 fogli pubblicata nel 1507 da Martin Waldseemller, importante perché per la prima volta compare il nome di America, e quella compilata nel 1529 da Diego de Ribeira, perché per la prima volta l’Oceano Pacifico appare nelle dovute proporzioni.
Dal XV al XVIII secolo, in diversi paesi europei si svilupparono e raggiunsero livelli tecnici elevatissimi varie scuole cartografiche. La supremazia in campo cartografico passò successivamente dalla scuola portoghese a quella bavarese e renana, poi alla fiamminga, alla oxfordiana, e infine a quella olandese. Benché costose, le carte erano richiestissime e le edizioni si susseguivano le une alle altre. Dovendo essere utilizzate nei diversi paesi europei, le carte geografiche furono anche i primi testi a comparire più o meno contemporaneamente in diverse lingue.
Nel 1595 usciva postuma la terza ed ultima parte dell’Atlas sive cosmographicae meditationes de fabrica mundi et fabricati figura, l’opera monumentale di Gerhard Kremer, detto Mercatore, il più grande cartografo di tutti i tempi. Era la prima volta che la parola atlante veniva usata per indicare una raccolta di carte geografiche e l’opera di Mercatore ebbe tale risonanza che Atlas divenne subito sinonimo di raccolta di carte geografiche.
Al tempo, costruire mappe verosimili era estremamente difficile, da un lato ci si dibatteva ancora con il problema della determinazione della longitudine, dall’altro bisognava riuscire a rappresentare in qualche modo intelligibile e utilizzabile la superficie di una sfera su un foglio di carta. Mentre il problema delle longitudini verrà risolto solo due secoli dopo, grazie al cronometro dell’inglese Johon Herrison, Mercatore affrontò il problema grafico, utilizzando la proiezione cilindrica isogonica o conforme, che rimarrà in auge per quattro secoli e sarà universalmente nota come proiezione di Mercatore.
Mercatore utilizzò per la prima volta questa tecnica nel 1569 per il planisfero a 18 fogli ad usum navigantium. Le sue carte, che contarono un numero infinito di imitatori, sono ritenute tra le più belle mai prodotte per la precisione del disegno e la bellezza della grafica.

Mappamondo di Mercatore

La sua produzione fu tutta in crescendo e si concluse con l’Atlas, un’opera monumentale che si proponeva di raccogliere tutto lo scibile geografico dell’epoca. La preparazione e la stampa dell’Atlas occuparono gli ultimi anni della lunga vita di Mercatore che, morendo a Duisburg nel 1594, all’età di 82 anni, la lasciò incompleta. L’opera venne continuata dai figli Arnold e Rumold e dai nipoti, figli di Arnold, Gerhard, Johannes e Michael.
Produrre carte geografiche era un’attività molto redditizia; benché costose, le edizioni andavano esaurite molto rapidamente e i cartografi, che erano anche editori di se stessi, potevano realizzare interessanti guadagni. L’attività dei Mercatore continuò fino al 1602, con una nuova edizione dell’Atlas in latino con 101 mappe.
Intorno al 1650 si affermò un’altra dinastia di cartografi fiamminghi, si trattava dei Blaue, padre e figli che divennero i cartografi ufficiali della compagnia delle Indie Olandesi. La loro produzione culminò con un’opera ambiziosissima in 10 volumi che, non a caso, si intitolò 'Atlas Maior' e venne pubblicato contemporaneamente in latino, olandese, tedesco, francese.
Agli inizi del XVII secolo, intanto, l’olandese Snellius aveva misurato per primo una base geodetica e applicato la triangolazione delle distanze e delle altezze, dando così avvio all’epoca veramente moderna della cartografia. La prima carta topografica rigorosamente geometrica è quella di Cassini, pubblicata nel 1746 e illustrante in 18 fogli il territorio francese.

Carta di César-Fracoise Cassini, 1744

Il perfezionamento degli strumenti e delle tecniche di misura, nonché la costituzione di un’organizzazione internazionale per le misure geodetiche (1864), consentì nel secolo successivo l’allestimento da parte dei vari stati delle cartografie nazionali topografiche e derivate. Inoltre, nell’Ottocento, la cartografia si differenziò ampiamente in seguito alle sue applicazioni in molti settori dell’attività umana, dal rilevamento geologico all’indagine meteorologica e climatica, dal campo didattico a quello economico, storico, industriale ed amministrativo.

cenni storici

L'inizio della cartografia si fa risalire a circa 15000 anni fa: in Ucraina, a Mezin, è stato rinvenuto un antichissimo graffito con incise diverse immagini che rappresenterebbero un accampamento e il fiume che scorre nei pressi.
Altro reperto di interesse cartografico è la cosiddetta 'Pietra di Jebel Amud', rinvenuta nell'omonimo complesso di rilievi situato nella Giordania Meridionale. La pietra viene fatta risalire al periodo neolitico (10000-6000 anni fa); venne incisa con l'antica tecnica della martellina e ricoperta da una fitta rete di coppelle (che rappresenterebbero gli insediamenti abitativi) e canalini (che rappresenterebbero i percorsi).

Pietra di Jebel Amud

La pietra topografica del deserto giordano ha custodito per millenni il suo segreto. Incastrata fra i massi di crollo della montagna, presenta una superficie di 5 mq circa; in tempi più recenti, alcuni beduini vi hanno macinato delle granaglie, cancellando parte dei tracciati. E' una mappa su pietra dotata di una precisione incredibile, se si tiene conto che il tutto è stato realizzato senza gli strumenti e i metodi necessari al rilevamento topografico. Considerando l'enorme superficie interessata (circa 2500 Kmq riprodotti in una scala approssimativa di 1:16000) si può parlare di una rappresentazione che oggi, secondo le norme cartografiche convenzionali, può essere catalogata senz'altro come 'pietra topografica'. Tale manufatto, databile fra il 3000 e il 3500 a.C. e risalente perciò all' Eneolitico (età del Rame), risulta il primo del genere che sia stato possibile applicare ad un territorio.
Nell'introduzione alla sua fondamentale 'Storia della cartografia', Leo Bagrow (1881-1957) cita l'episodio emblematico del monaco bizantino Maximos Planudes (1260 - 1310) che, per la gioia di aver scoperto un manoscritto (naturalmente copia) del Geographia di Tolomeo, celebrò la sua scoperta in versi. Siccome il manoscritto mancava delle carte, Planudes stesso provvide a disegnarle (seguendo le indicazioni del manoscritto), e quando ebbe terminato il lavoro, celebrò ancora l'evento componendo altri versi.

La Terra in una carta di Tolomeo

Bagrow dice anche nella stessa prefazione che il sultano Maometto II il Conquistatore (1430 - 1481), dopo la caduta di Costantinopoli, nel 1453, avendo avuta notizia che nella biblioteca ereditata dai regnanti di Bisanzio era stato rinvenuto un manoscritto del 'Geographia' mancante della mappa mundi, diede l'incarico a un filosofo del suo seguito di redarre una tale mappa, attenendosi strettamente alle indicazioni del manoscritto. Sapeva benissimo che avrebbe ottenuto una carta obsoleta rispetto ai suoi tempi, ma ciò era precisamente quello che desiderava, qualcosa che assomigliasse a una carta geografica antica.
E' interessante pure la dissertazione che Bagrow fa sulla etimologia della parola 'carta'. Una spiegazione sulla sua origine si rifarebbe, secondo alcuni, a una parola greca che ha il suo equivalente nella voce verbale latina 'sculpo' (io scolpisco). Malgrado le carte geografiche antiche siano state effettivamente scolpite su pietra, sembra che alla parola non sia da attribuire un'origine proprio così antica, ma piuttosto un'origine associata alla parola portoghese 'cartes', usata per indicare fogli di carta, passata poi tanto nella lingua spagnola come in quella italiana.
La parola latina charta, che passò poi in tutte le lingue romanze e non, deriva dal greco. La parola 'karte' fu introdotta nel tedesco parlato da Laurent Fries, cartografo alsaziano del Rinascimento. La parola 'landcharte' cominciò ad essere usata in Germania a partire dal secolo XVII. I Romani usavano per carta geografica la parola 'tabula'; l'espressione 'imago mundi', coniata nel Medioevo, è molto espressiva per una carta geografica.

Laurent Fries, Tabu Totius Orbis (Strasburgo, 1522)

L'espressione 'mappa mundi', anch'essa di origine medievale, era usata dai cartografi per indicare una rappresentazione geografica del mondo in piano (oggi viene spesso usata impropriamente la parola mappamondo per l'oggetto che i cartografi indicano con 'globo'; per una rappresentazione cartografica in piano, i cartografi usano la parola 'planisfero'.
L'espressione mappa mundi richiama il fatto che qualche centinaio di anni fa, le carte geografiche venivano realizzate anche su stoffa (mappa). La parola inglese 'chart' è rimasta per indicare soltanto le carte nautiche, per le carte geografiche terrestri di tutti i tipi gli inglesi hanno invece adottato il vocabolo 'map'.

carte geografiche dei popoli primitivi

Sembra che un certo stimolo a favorire la redazione di mappe sia associabile alla propensione di certe comunità al movimento, allo spostarsi dal luogo d'origine. La tendenza di alcuni popoli primitivi al nomadismo deve aver affinato la loro attitudine a tracciare mappe. Il mezzo sul quale sono state redatte la maggior parte delle mappe primitive è la pietra o il legno, osso e pelli sono rari, mentre la pittura su rocce si ha in tutto il mondo. Molte di queste pitture su roccia contengono, oltre ad animali, scene di caccia e, qualche volta, anche schemi, che sono stati interpretati da alcuni come diagrammi geografici. In caverne di Schafthausen sono state trovate tavolette di osso con un network di linee, ma non si è potuto dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che si tratti proprio di mappe.
Mappe incise su corteccia d’albero, principalmente corteccia di betulla sono molto comuni in Siberia, tra gli Eschimesi e tra gli Indiani del Nord America. Possono essere facilmente trasportabili e questo fatto contribuì alla loro diffusione. Si è osservato che alcune tribù indiane avevano uno speciale talento per le mappe. Molti Indiani, malgrado fossero incapaci di leggere, riuscirono facilmente a identificare nomi di fiumi, di valli, di monti su mappe europee. Un missionario gesuita, J.F. Lafiteau, riportò di aver osservato una grande quantità di queste mappe. Gli Eschimesi furono probabilmente gli unici a tentare di redigere mappe indicanti i rilievi.
F.W. Beechey ebbe la prova di ciò nel 1826 tra gli Eschimesi occidentali dello Stretto di Bering. Egli diede una descrizione di come essi tracciavano sulla sabbia di Kotzebue un modello in rilievo del litorale. 'Prima marcavano la linea di costa. Poi indicavano le montagne e le colline, poi le isole, rispettando le proporzioni. Una volta segnate le montagne e le isole, marcavano i villaggi con dei pezzi di bastone piantati verticalmente. Dopo un pò di tempo diedero una completa pianta topografica della zona'.
Le culture antiche messicane che gli Aztechi ereditarono dai predecessori Maya e Toltechi, erano molto sviluppate quando gli Spagnoli arrivarono, le mappe erano infatti disegnate con facilità tale da poter essere usate anche da stranieri. Nel 1520, descrivendo all’imperatore Carlo V un colloquio che aveva avuto con Montezuma, Hernan Cortés precisava come, avendo richiesto a Montezuma informazioni sulla possibilità di trovare dei porti di rifugio per le sue navi, il re Montezuma gli fece avere in pochissimo tempo una carta della costa dipinta su stoffa.
Queste mappe erano dipinte su materiale estratto da fibre di agave, altre erano su corteccia di fico e altre ancora su pelli trattate. In seguito, nel 1526, gli inviati di Tabasco e Xicalango redassero per Cortés una carta dell’intera regione 'con la quale io ritenni che mi potevo tranquillamente spostare per la gran parte di essa'. Infatti, si estendeva fino a Panama e lo guidò nel suo difficoltoso viaggio fino all’Honduras.
Quasi tutte le mappe andarono perdute a causa della furia distruttrice dei preti spagnoli. Soltanto due reliquie di cartografia pre-colombiana sono state preservate, con alcune mappe redatte da nativi nel periodo seguente, ed è su queste che si basa il nostro giudizio sulla cartografia messicana. Mentre nelle mappe redatte dopo la conquista si ha qualche influenza europea, esse mantengono i simboli tradizionali della cartografia primitiva, sicchè le mappe del cosiddetto Codice Tepetlaoztoc, malgrado siano state redatte su carta europea, fanno uso di una simbologia esattamente eguale a quella dell’antico Messico.
Le carte degli isolani delle Isole Marshall, nel Pacifico, furono uniche nella storia della cartografia, costruite utilizzando fibre di palma, unite una all’altra da fili di palma di cocco, così da puntare in molte diverse direzioni. Delle conchiglie, indicanti isole, erano fissate alle intersezioni dei fili di palma.
L’uso di queste carte nautiche dipendeva da una buona conoscenza dei sistemi di swell che si manifestavano nella regione delle Isole Marshall. Riconoscendo questo sistema di onde, gli antichi navigatori polinesiani delle Isole Marshall erano capaci di navigare di isola in isola. Si distinguono tre tipi di queste mappe, le mappe di tipo mattang, che danno soltanto una indicazione teorica dei sistemi di onde, per cui queste mappe potrebbero svolgere una funzione didattica, mappe di tipo rabbang, indicanti interi gruppi di isole, cioè mappe generali e infine mappe di tipo meddo, indicanti varie parti dell’arcipelago.
Il metodo di costruire queste mappe era un segreto custodito gelosamente e tramandato di padre in figlio. Una flottiglia di almeno 15 o più canoe partiva sotto la guida di un esperto interprete di queste mappe, purtroppo, a mano a mano che i nativi vennero in contatto con le mappe europee, non sentirono più la necessità di preservare la loro tradizione sulla costruzione e sull’uso delle loro mappe, che oggi si è persa completamente.



I tiahorau (navigatori), avevano cognizione delle posizioni assunte dal sole sull'eclittica nel corso dell'anno ed erano perciò esperti di equinozi e solstizi, dei cicli stagionali e della loro influenza sul clima e sui mari. La loro appartenenza necessariamente a classi di alto rango, capi o sacerdoti, imponeva estrema riservatezza nell'uso e nella divulgazione di tali conoscenze, che, d'altronde, non erano mai disgiunte da risvolti magici e religiosi, traendo esse origine dagli antichi miti che avevano alimentato la protostoria, dei numerosi gruppi etnici irradiatisi nell'Oceania.
A causa di tanto geloso riserbo, nell'epoca attuale ci è giunto ben poco riguardo le conoscenze astronomiche fiorite presso quelle comunità e circa i criteri con i quali venivano usate a scopo di navigazione. 'Sono segreti di cui solo io e il diavolo, il vecchio dio dei mari Tangaloa, siamo a conoscenza', ebbe ad affermare un vecchio e cieco capo Tuita delle isole Tonga ad una missione scientifica inoltratasi nella zona.
Le imbarcazioni polinesiane, pur senza alcun ausilio strumentale, compivano viaggi di oltre tremila chilometri con errori di rotta irrilevanti. I manufatti d'argilla rinvenuti ovunque e con caratteristiche comuni nelle isole della Polinesia, della Micronesia e della Melanesia, sembrano indicare che gli stanziamenti umani m quella parte del mondo ebbero origine presumibilmente intorno al secondo millennio a.C., interessando una quantità di isole, dall'attuale Nuova Britannia alle Fiji, dalle Caroline alle Tuamoto, alle Salomone, alle Gilbert. La relativa rapidità di questa diffusione ha alimentato negli studiosi la convinzione che le culture neolitiche dell'Oceania disponessero di una tecnologia di navigazione abbastanza avanzata, assistita certamente dalle indispensabili cognizioni nautiche e di orientamento.
Gladwin (1970) ha descritto la mappa cognitiva usata dai marinai polinesiani. Tale mappa è estremamente complessa e una delle sue proprietà più importanti è un’isola di riferimento. Se una particolare isola è stata selezionata, allora il viaggio può essere pensato nei termini di una serie di segmenti, ciascuno dei quali conduce il navigatore in una posizione individuata da una retta tracciata dalla canoa a una particolare stella passante per l’isola di riferimento.
Finché le posizioni delle stelle vengono individuate al momento opportuno e nella sequenza appropriata e il navigatore sa che si trova sulla strada giusta. Una delle sue caratteristiche più interessanti è che i navigatori non pensano a loro stessi come a qualcosa che si muove dal punto di partenza alla destinazione, ma immaginano di starsene immobili mentre l’isola di destinazione si avvicina a loro..

cartografia dell'Antica Mesopotamia

Gli storici della cartografia hanno fornito differenti versioni su quelli che possono essere considerati i documenti cartografici più antichi che ci siano pervenuti.
Alcuni di questi consistono di incisioni su tavolette di argilla e variano come soggetto da descrizioni schematiche del mondo a rappresentazioni regionali. Naturalmente, le interpretazioni che di queste rappresentazioni vengono date differiscono tra gli studiosi.
Una di queste tavolette d'argilla, scoperta nel 1930 presso le rovine dell'antica località di Ga-Sur, circa 200 miglia a nord del sito di Babilonia. E' una piccola tavoletta (7,5 x 6,5 cm) che la maggior parte degli studiosi attribuisce all'epoca della dinastia di Sargon di Akkad (2300 - 2500 a.C.). Su di essa l'interpretazione identifica due zone collinose bisecate da un corso d'acqua. Sono visibili anche delle iscrizioni. Si tende ad identificare la regione rappresentata come quella dell'odierna Yorghan Tepe. Si tende anche ad identificare il corso d'acqua rappresentato con l'Eufrate.
La tavoletta di Ga-Sur (in alto) e una sua possibile interpretazione (in basso)

Come già accennato, l'attribuzione di rappresentazione geografica 'più antica' è piuttosto problematica. Nel 1963, durante scavi presso la località di Catal Hyuk, nell'Anatolia centrale, venne alla luce una rappresentazione murale di circa tre metri di lunghezza, la cui datazione al radiocarbonio venne determinata al 6200 a.C. circa. Secondo l'interpretazione degli studiosi, la mappa mostrerebbe in primo piano un insieme di abitazioni (circa 80) e sullo sfondo un vulcano a doppio cono con i fianchi ricoperti di massi in eruzione.
La rappresentazione di Catal Huyuk (in alto) e una sua possibile interpretazione (in basso)

cartografia egizia

Anche l’Egitto non ci ha lasciato quasi nessun documento cartografico. I faraoni organizzarono spedizioni militari, missioni commerciali e pure spedizioni esplorative. Uno di questi primi viaggi fu intrapreso negli anni 1493 - 1492 a.C. per mare alla mitica Terra del Punt (probabilmente la Somalia). Questo è riportato in un’iscrizione nel tempio di Der-el-Bahri. L’iscrizione è accompagnata da una nave, ma non da una mappa. Erodoto dice di un altro viaggio, ordinato dal faraone Necho (596-594 a.C.) per il quale navi fenicie circumnavigarono l’Africa, dal Mar Rosso alle Colonne d’Ercole.
Si hanno altre descrizioni su mura di templi o su papiri, di spedizioni, ma senza mappe. Soltanto nell’Egitto ellenizzato abbiamo un approccio teorico alla cartografia al punto che possiamo ritenere che le mappe siano state un prodotto dell’ingegno greco. Sappiamo da Erodoto che durante la campagna contro gli Sciti da parte del faraone Sesostri (1400 a.C. circa) tutta la terra conquistata venne cartografata.
Non vi possono essere dubbi che gli Egizi possedevano un archivio catastale. I rilievi topografici devono essere stati molto sviluppati perché le inondazioni annuali del Nilo portavano via le pietre miliari di confine, e ogni volta i nuovi confini dovevano essere ritracciati (il ritracciamento era un'operazione molto importante che aveva evidentemente attinenza con il fisco).
Presso il Museo Egizio di Torino è conservata una mappa schematica delle miniere d’oro della Nubia. Si ritiene che la mappa sia stata redatta all'epoca del regno di Ramsete IV (1150 a.C.), che diede inizio a un sistematico survey terrestre del suo impero. La parte più importante della rappresentazione è quella che viene generalmente chiamata la mappa delle miniere d'oro, rappresenta due grandi arterie stradali che corrono orizzontalmente parallele attraverso una regione montuosa rossiccia. Si hanno anche iscrizioni ieratiche.
L'interpretazione della seconda parte del papiro presenta ancora delle difficoltà, per cui non è ancora stata portata a termine. In figura una possibile interpretazione.

la geografia di Omero

La concezione del mondo dei tempi omerici quale disco circolare piatto, circondato completamente dalle acque di un unico fiume, rimase una nozione popolarmente radicata nel mondo greco, anche dopo che molti filosofi e scienziati avevano accettato la nozione della sfericità della Terra, enunciata dai Pitagorici e altri, ed affermata con prove teoretiche da Aristotele. Secondo quella concezione, subito al di sotto della superficie si trovava la dimora dell'Ade, il regno della Morte, e, ancora al di sotto, il Tartaro, il regno dell'eterna oscurità. All'esterno del fiume Oceano si elevava la volta cristallina (solida) celeste.
Da parte di alcuni si vuole fare riferimento alla descrizione che Omero dà nell'Iliade dello scudo di Achille come della prima rappresentazione cartografica-cosmologica. Infatti, per un lungo tempo, le primitive rappresentazioni dell'ecumene (mondo abitato) inclusero anche riferimenti cosmologici.
Efesto, il fabbro divino, modellò lo scudo di Achille su tre diversi strati di metallo. Al centro erano rappresentate scene terrestri, tra le quali due città, una in pace e l'altra in guerra, nella zona periferica, invece, era rappresentato il fiume Oceano. Tra i più notevoli elementi cosmologici erano rappresentate le costellazioni di Orione, delle Pleiadi e dell'Orsa Maggiore, nonchè il Sole e la Luna. Queste due figure si riferiscono a una ricostruzione eseguita da uno scultore moderno.

il passo di Omero, dal Libro XXVIII dell'Iliade:

Cinque dell'ampio scudo eran le zone
e gl'intervalli che, con divin sapere,
d'ammiranda scultura avea ripieni.
Ivi ei fece la Terra, il mare, il cielo
e il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla
incoronata la celeste volta,
e le Pleiadi, e l'Iadi, e la stella
d'Orion tempestosa, e la grand'Orsa
che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
ella si gira ed Orion riguarda,
dai lavacri del mar sola divisa.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Il gran fiume Ocean l'orlo chiudea
dell'ammirando scudo . . .

la cartografia greca

Nel VI secolo a.C., nell'antica Grecia, è possibile individuare una cartografia concepita a finiAnassimandro prettamente culturali. Il primo greco che abbia costruito una carta geografica del mondo è Anassimandro (Mileto 610 -546 a.C.), un discepolo di Talete. Purtroppo, nessuna delle sue carte è sopravvissuta. Di certo, sebbene solo una piccola porzione della Terra fosse conosciuta dagli antichi Greci, la forma della Terra venne ad assumere sempre maggior importanza per la cartografia. C'è ancora ampia discussione su quale forma Anassimandro attribuisse alla Terra (se sferica o cilindrica).
Secondo Diogene Laerzio, il commentatore del secolo III d.C. dal quale deriviamo molte delle notizie sui filosofi della Scuola jonica, Anassimandro fu il primo a tracciare uno schema (perimetron) del mondo, e pure il primo a costruire un globo.
Pitagora, nel VI secolo a.C., sembra essere stato il primo a pensare ad una Terra sferica, ma fu solo nel secolo successivo che Parmenide argomentò in questo senso. Attorno al 350 a.C. Aristotele espose sei argomenti a prova della sfericità della Terra e fu da allora che in ambiente scientifico venne accettata generalmente tale concezione.

Erodoto

Erodoto (Alicarnasso 484 a.C. ca. - Turi 425 a.C. ca.). Storico greco famoso per aver descritto paesi e persone da lui conosciute in numerosi viaggi. In particolare, ha descritto l'invasione persiana in Grecia nell'opera 'Storie'. Nato da una famiglia aristocratica di Alicarnasso, in Asia minore, con sangue per metà greco e per metà asiatico, la madre, Dryò, era infatti greca mentre il padre, Lyxes, asiatico. Visse così nella sua città di nascita sino a quando, dopo aver partecipato ad una sollevazione contro il tiranno Ligdami, fu costretto all'esilio sull'isola di Samo. Ritornò in patria intorno al 455 a.C. vedendo così la cacciata, forse collaborandovi, di Ligdami.
Dopo poco tempo partì per viaggi che gli permisero di visitare gran parte dei luoghi toccati dal Mediterraneo orientale, in particolar modo l'Egitto. Soggiornò a lungo ad Atene intorno all'anno 447 a.C., dove conobbe Pericle e Sofocle, per poi stabilirsi nella colonia greca di Turi (in Magna Grecia), alla cui fondazione collaborò, intorno al 444 a.C.. La tradizione vuole che morisse negli anni successivi allo scoppio della Guerra del Peloponneso, convenzionalmente nel 425 a.C., nella città di Turi. In realtà luogo, data e circostanze della sua morte rimangono ancora sconosciute.
'Padre della storia', Erodoto fu anche un po' il padre della geografia antropica, almeno nel quadro del nostro patrimonio superstite di letteratura greca. Nel corso della sua vita, che va dalle guerre persiane all'inizio della guerra del Peloponneso, egli potè viaggiare senza troppe difficoltà in molte province dell'impero persiano (del quale era nato suddito) e raccogliervi materiale di prima mano. Altro ancora raccolse da fonti scritte, tra le quali la più importante dovette essere Ecateo. Erodoto è un osservatore instancabile di civiltà e costumi, anche se di rado supera i pregiudizi inerenti alla sua formazione; in questo senso non gli si può togliere un posto notevolissimo nella storia della geografia antropica.

L'ecumene di Erodoto

Davanti al mondo della geografìa fìsica egli ha invece un atteggiamento da dilettante: è un attento raccoglitore e vagliatore delle opinioni circolanti al suo tempo, che cerca di formarsi una propria idea sui principali quesiti che occupavano gli intelletti. Il mondo da lui conosciuto ha limiti precisi: ne restano al di fuori l’Asia settentrionale e orientale; l'Africa è fortemente sottovalutata nella sua estensione verso sud. Anche sull'Europa del nord-ovest Erodoto è poco informato: non è sicuro se essa sia circondata dal mare o no, e non sa nulla della catena delle Alpi.
Quanto alla forma che egli attribuiva alle terre e ai mari, e quanto essa fosse corretta, ben poco si può dire: nessun prodotto della cartografìa antica è sopravvissuto prima delle carte, peraltro ricostruite, di Tolomeo. Al tempo di Erodoto esistevano carte (ioniche) dell’ecumene conosciuta, di forma circolare. Erodoto ne ride, come più tardi farà anche Aristotele, certo a causa del loro schematismo che faceva forza alla realtà dei fatti. Ma da schematismi preconcetti non era immune neanche Erodoto, come quando immaginava i corsi del Nilo e dell’Istro rigorosamente speculari, pendant l’uno dell'altro.
All’ecumene rotonda degli Ioni, Democrito (morto novantenne fra il 380 e il 370 a.C.) ne sostituì una di forma oblunga, che rimase generalmente in auge per tutta l’antichità, pur fra opinioni divergenti sul rapporto fra lunghezza e larghezza (da qui deriva il nostro uso dei termini latitudine e longitudine).
Il termine Ecumene (anche oikoumene) deriva dal sostantivo 'oikos' (casa) e dal verbo 'meni' (vivere), entrambi della Lingua greca, per cui l'ecumene è 'la casa dove tutti viviamo'. Il termine, con il trascorrere del tempo ha assunto due valenze, una prima valenza geografica di descrizione del mondo conosciuto e una filosofico-religiosa di appartenenza ad un gruppo particolarmente attento a una fede o a una teoria filosofica.
Per la geografìa ionica e per Erodoto la terra è ancora una superfìcie piana, cosa che preclude la comprensione di una quantità di fatti astronomici e climatici: così Erodoto pensa che in India faccia caldo soprattutto al mattino, dato che questo paese è vicinissimo al sole levante. Ma l’idea della terra sferica era certamente già apparsa al suo tempo, probabilmente dapprima non in Ionia, ma nelle colonie greche d'occidente.

Eratostene


Nel 250 a.C. circa Eratostene di Cirene (276 ca. - 194 ca. a.C.) misurò la circonferenza della Terra ed un arco di meridiano. Diede un ulteriore importante contributo alla cartografia facendo uso di un reticolato per determinare la posizione dei luoghi della Terra. Era stato nominato all’incarico di direttore della Biblioteca di Alessandria, che probabilmente era dotata di poche carte geografiche, ma di molte mappe catastali. Strabone, dal quale sono derivate la maggior parte delle notizie su Eratostene, si riferisce in maniera piuttosto confusa alla carta di Eratostene.


Il primo, però, ad adottare una simile griglia fu, circa 50 anni prima, il messinese Dicearco, allievo di Aristotele. Oggi usiamo latitudine e longitudine per determinare le coordinate di un luogo e il reticolo di Eratostene era di natura simile. E’ da notare che l’uso di una tale griglia posizionale rappresenta un'anticipazione della geometria cartesiana. Seguendo l’esempio di Dicearco, Eratostene scelse una retta passante per Rodi e le Colonne di Ercole (l’attuale Gibilterra) come una delle linee principali della sua griglia. Questa linea si trova, con un grado di accuratezza abbastanza alto, a 36° nord, ed Eratostene la scelse poiché divideva il mondo a lui conosciuto in due parti di uguale estensione. Fu così che definì il limite est-ovest più lontano fino ad allora conosciuto. Come linea di riferimento per le linee nord-sud della sua griglia scelse la perpendicolare passante per Rodi e disegnò poi sette linee parallele a quella di riferimento per formare una griglia rettangolare.

Ipparco di Nicea


Ipparco da Nicea (190-125 a.C.) fu sicuramente il più grande astronomo dell’epoca greca. Criticò Eratostene per l’arbitrarietà con la quale aveva scelto i punti di riferimento delle sue mappe e per non aver trattato l’argomento in modo sufficientemente matematico. Suggerì che una griglia avrebbe dovuto essere scelta per importanza astronomica in modo che, per esempio, nei punti sulla stessa linea il giorno più lungo (solstizio d’estate) avesse la medesima durata. Non risulta che Ipparco abbia costruito mappe terrestri, tuttavia fece importanti osservazioni astronomiche che lo portarono a definire undici paralleli.
Ipparco effettuò le proprie osservazioni soprattutto da Alessandria e da Rodi, dove operò tra il 146 e il 127 a.C.; è considerato il fondatore dell’astronomia osservativa, ma va tenuto presente che dell’opera dei suoi predecessori non ci rimane neppure un frammento, a parte un lavoro assolutamente minore di Aristarco di Samo (Sulle dimensioni e le distanze del Sole e della Luna) e un passo dell’Arenario di Archimede, in cui è descritta la teoria eliocentrica di Aristarco stesso. Non è che di Ipparco ci rimanga gran che: soltanto il Commentario ai 'Fenomeni' di Arato, che è sopravvissuto, probabilmente, solo grazie alla popolarità del poema.



Per quanto ne sappiamo, è ad Ipparco che si deve la trasformazione dell’astronomia matematica greca da scienza descrittiva a scienza predittiva. Si trattò certamente di un vero e proprio genio, e di un vero e proprio scienziato: un innovatore sia in matematica che nelle tecniche di osservazione; ma non sarebbe stato certamente in grado di compiere la sua opera senza una dettagliata conoscenza dell’astronomia mesopotamica, dell’immenso archivio di registrazioni di oltre cinque secoli di osservazioni, e delle potenti tecniche matematiche atte a calcolare e predire fenomeni di natura lunare o planetaria, sviluppate dagli astronomi mesopotamici e che erano ancora in uso al suo tempo.
Non sappiamo come Ipparco abbia acquisito tali conoscenze: come già detto, purtroppo di questo genio ci resta solo un’opera minore, e la maggior parte delle nostre conoscenze su di lui ci vengono dal suo tardo successore Tolomeo e da altre fonti secondarie; in ogni modo, è certo che egli fu il principale canale di trasmissione di tali dati scientifici al mondo greco.
Tale abbondanza di dati fu preziosa non solo per Ipparco stesso, ma anche per i suoi successori, soprattutto Tolomeo. E l’importanza delle sue fonti mesopotamiche non è solo nell’immensa mole degli archivi di dati, ma anche nelle teorie matematiche che egli importò in Grecia, quali il sistema posizionale sessagesimale, che Ipparco adottò, pur con qualche modifica, rimpiazzando la pesante e macchinosa struttura di unità frazionarie allora in uso. Grazie a tale innovazione costruì le sue tavole astronomiche, e suddivise l’eclittica (e i cerchi in genere) in 360 gradi.
Ipparco costruì strumenti astronomici (probabilmente si deve a lui l’invenzione dell’astrolabio piano) e perfezionò molti di quelli esistenti; determinò la lunghezza dell’anno solare a 5 minuti di meno dei 365 giorni e 6 ore, misura allora generalmente accettata, computò la grandezza, la distanza, il moto del Sole e della Luna, scoperse la precessione degli equinozi. E, soprattutto compilò, come già detto, il primo catalogo di stelle nella storia dell’astronomia.
Ipparco trascorse probabilmente molti anni osservando e registrando le posizioni delle stelle fisse. Apparentemente, lo scopo era quello di delineare un globo stellare, e possiamo farci un’idea dei suoi risultati attraverso il già citato Commentario ai 'Fenomeni' di Arato. Fu certamente nel corso di questo lavoro di confronto fra le sue osservazioni e quelle dei suoi predecessori greci che si accorse che le longitudini delle stelle fisse, misurate dall’intersezione dell’equatore celeste e dell’eclittica, aumentano lentamente nel tempo (la precessione degli equinozi).
Il catalogo di Ipparco constava di circa 850 stelle; egli fu il primo a stabilire le posizioni delle stelle per mezzo di coordinate celesti (latitudini ed longitudini basate sull'eclittica) e a suddividerle in sei magnitudini; e tra le stelle inserì almeno due oggetti dall’aspetto nebulare: l'ammasso del 'Praesepe' nel Cancro (M44) che definì 'piccola nube' ed il doppio ammasso nell'elsa della spada di Perseo che definì 'una macchia nebbiosa'. Secondo Plinio Ipparco fu spinto ad intraprendere la compilazione del suo catalogo dall'apparizione di una "nova" o stella nuova nella costellazione dello Scorpione nel 134 a.C.
Nonostante nessuna copia del lavoro di Eratostene e Ipparco sia giunta fino a noi, ne abbiamo conoscenza grazie alla Geografica di Strabone, opera completata circa nel 23 a.C.. Strabone fa un resoconto critico dei primi contributi alla cartografia ma dedica soltanto una piccola discussione al problema del proiettare una sfera su un piano. Dice chiaramente che il suo lavoro non è rivolto ai matematici ma piuttosto a chi necessita di conoscere le abitudini dei popoli e le risorse naturali della Terra.

Tolomeo


L’ultimo e più importante contributo greco che consideriamo è quello del celebre Claudio Tolomeo, astronomo, geografo e matematico vissuto fra il 90 e il 170 d.C., che stabilì il fondamento della geografia matematica e della cartografia cosmografica antica.
Claudio Tolomeo (in greco Klaudios Ptolemaios, in latino Claudius Ptolomaeus; ca. 85 - ca. 165), noto semplicemente come Tolomeo, è stato un astronomo greco di epoca imperiale che probabilmente visse e lavorò ad Alessandria d'Egitto. Considerato uno dei padri della geografia, fu autore di due importanti opere scientifiche, la principale delle quali è il trattato astronomico noto come Almagesto (in greco 'Hè Megalè Syntaxis', 'Il grande trattato'). Come per larga parte della scienza e della filosofia greca classica, è pervenuto ai nostri giorni attraverso manoscritti arabi che furono tradotti in latino da Gerardo da Cremona solo nel XII secolo.
Claudio Tolomeo, precursore della geografiaIn questo lavoro, una delle opere più influenti dell'antichità, Tolomeo raccolse la conoscenza astronomica del mondo greco e babilonese, basandosi soprattutto sul lavoro svolto tre secoli prima da Ipparco. Tolomeo formulò un modello geocentrico (che da lui prenderà il nome, tolemaico, appunto) del sistema solare che rimase riferimento per tutto il mondo occidentale (ma anche arabo ed indiano) fino a che non fu sostituito dal sistema solare eliocentrico di Copernico. Anche i metodi di calcolo illustrati nell'Almagesto (integrati nel XII secolo dalle cosiddette Tavole di Toledo, di origine araba) si dimostrarono di accuratezza sufficiente per i bisogni di astronomi, astrologi e navigatori almeno fino all'epoca delle scoperte geografiche.

L'Almagesto contiene pure un catalogo di stelle, probabilmente un aggiornamento di un analogo catalogo compilato da Ipparco. L'elenco di quarantotto costellazioni che vi è contenuto è l''antenato' del sistema di costellazioni moderne, ma non poteva coprire l'intera volta celeste poiché questa non è completamente accessibile dalle latitudini del Mediterraneo, nelle cui vicinanze vissero Ipparco e Tolomeo.



L'altra opera importante di Tolomeo è la Geografia. Anche questa è un compendio di tutta la geografia nota nel mondo romano all'epoca in cui egli scriveva. Le sue fonti principali furono l'opera del geografo Marino di Tiro e resoconti di viaggi attraverso l'impero romano, la Persia ed altrove, ma gran parte delle informazioni relative a paesi al di fuori dell'impero erano inaccurate.
La mappa dell'oikoumenè (mondo abitato) di Tolomeo. La prima parte della Geografia contiene una discussione dei dati e dei metodi impiegati. Come per il modello del sistema solare dell'Almagesto, Tolomeo collocò tutte le sue informazioni in uno schema coerente. Assegnò coordinate a tutti i luoghi di cui era a conoscenza, ponendoli su una griglia che copriva l'intero globo terrestre.
La latitudine era misurata a partire dall'equatore, come si fa anche oggi, ma Tolomeo preferì esprimerla in termini di lunghezza del giorno più lungo anziché in gradi (la lunghezza del giorno del solstizio estivo varia da 12 a 24 ore muovendosi dall'equatore al circolo polare). Fissò il meridiano di longitudine 0 in corrispondenza del territorio più occidentale di cui fosse a conoscenza, le isole Canarie.
Tolomeo scoprì e divulgò i metodi per creare mappe sia dell'intero mondo abitato (oikoumenè) che delle singole province romane. Nella seconda parte della Geografia, fornì delle liste di luoghi e descrizioni delle sue mappe. Il suo oikoumenè copriva 180 gradi di longitudine, dalle Canarie (nell'Oceano Atlantico) alla Cina, e circa 80 gradi di latitudine, dal Mare artico all'Estremo Oriente (India Transgangetica) ed all'Africa centrale.
Tolomeo era conscio di conoscere meno di un quarto del mondo. Tuttavia le mappe presenti nei manoscritti esistenti della Geografia tolemaica datano solo all'inizio del XIV secolo, quando il testo fu riscoperto da Maximus Planudes. Mappe basate su principi scientifici erano state realizzate fin dai tempi di Eratostene (III secolo a.C.), ma Tolomeo inventò e migliorò il metodo delle proiezioni.
Nel XV secolo la Geografia fu stampata assieme ad alcune mappe ben disegnate. Rispetto a quelle attuali, sono distorte sia perché i dati di Tolomeo erano inaccurati, sia perché egli stimò una dimensione troppo piccola per la Terra: Eratostene aveva stimato che un grado corrispondesse a 700 stadi, ma Tolomeo preferì usare 500 stadi per grado. Non è chiaro se entrambi usassero la stessa definizione di stadio, ma assumendo che entrambi si riferissero allo stadio attico di circa 185 metri, la stima di Eratostene è troppo grande di circa un sesto, mentre quella di Tolomeo è troppo piccola, sempre di un sesto.
Tolomeo derivò la maggior parte delle sue coordinate convertendo misure lineari di distanza in angoli, pertanto le sue mappe sono distorte. Le sue latitudini avevano errori che arrivavano fino a 2 gradi. Per le longitudini (come anche Tolomeo sapeva) la situazione era anche peggiore, poiché non esistevano metodi affidabili per determinarla (per la latitudine invece basta misurare l'altezza della stella polare), e rimase un problema insoluto per la geografia fino all'invenzione del cronometro (XVIII secolo). La figura illustra la dimensione eccessiva che Tolomeo attribuì ad Europa-Asia, rispetto alla realtà (il tracciato a tratto pieno è quello che si rifà a Tolomeo).



Bisogna aggiungere anche che non è possibile ricostruire le sue liste topografiche, sia per via di errori nella trascrizione dei manoscritti, sia per via di continue aggiunte o modifiche con dati più aggiornati, cosa che testimonia la diffusione di questa opera.

la cartografia romana

Se i greci si preoccuparono principalmente di problemi teorici e speculativi, tesi a descrivere più una concezione del mondo che un percorso concreto, cercando soluzioni astratte attraverso il ragionamento matematico, ad esempio, le distanze marittime espresse in giornate di navigazione costituivano poco più di una indicazione generica (risultando altamente variabili a seconda del tipo di imbarcazione utilizzato, del carico e delle condizioni atmosferiche), i romani si occuparono soprattutto della soluzione di necessità immediate, trattando sempre di impiegare forme di espressione semplici e decisamente più pragmatiche.
I portolani (il nome deriva dalla parola latina portus, porto, è un manuale per la navigazione costiera e portuale) romani superstiti, giunti ad oggi in forma molto frammentata e grazie alla riproposizione che se ne fece nei codici medievali, sono fondamentalmente due, l’Itinerarium Maritimum, un breve testo descrittivo di due rotte complete (tra cui quella Roma-Arles, nella quale si trova notizia anche della costa pisana, ma non ancora l’indicazione del porto di Livorno, sorto probabilmente solo tra il 580 e il 603 d.C.), realizzato tra il 450 e il 535 d.C., e lo Stadiasmus Maris Magni, del V secolo d.C., che ci fornisce una descrizione dettagliata dei porti del Mediterraneo.
Di fatto, nonostante sia indubbia la conoscenza da parte della società colta romana dei lavori cartografici di Claudio Tolomeo di Alessandria (vissuto tra il 90 e il 168, in coincidenza dei regni di Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio), la civiltà romana si segnalò per la sua maestria nella rappresentazione topografica delle opere di fortificazione militare e delle reti viarie, trascurando però il contributo delle proiezioni geometriche e le applicazioni matematiche del concetto di sfericità, principali scoperte della scienza greca applicata alla cartografia.
Del resto, nel mondo romano, la navigazione marittima non costituì mai una preoccupazione reale, per essere una cultura prevalentemente terrestre. Si ricordi che la Repubblica Romana non ebbe una vera forza navale almeno fino alla Prima Guerra Punica (264-241), e che persino negli ultimi tempi dell’Impero la navigazione continuava a costituire una specialità riservata ai greci, ai fenici e ad altri popoli costieri. I viaggi di breve distanza non necessitavano di ausilio cartografico per esperirsi attraverso territori conosciuti, mentre, quanto agli spostamenti a grandi distanze, l’amministrazione romana realizzò una serie di 'itinerari', antenati delle mappe stradali, ma realizzate in maniera molto elementare, senza pretese di esattezza geografica, ma solo utilizzando un criterio di organizzazione per tappe di marcia, calcolate sulla base dei ritmi dei soldati semplici addestrati alla marcia regolare.
Ad ogni modo, soprattutto dopo le elaborazioni avvenute in età augustea, il portolano romano poteva contenere già un elevato numero di informazioni utili per la navigazione, presentando sia il resoconto topograficamente ordinato delle coste del Mediterraneo, inizialmente a partire dalla colonne d’Ercole, ma in seguito anche dal porto di origine, il periplo delle singole isole con l’indicazione delle distanze dai porti, dei rilievi e delle distanze specifiche, descrizioni più dettagliate ed esatte, con l’indicazione di traversate e cabotaggi, di rotte privilegiate per motivi commerciali o militari, interessate dai servizi di posta o da previsione di viaggi imperiali.

Pomponio Mela


Pomponio Mela, geografo e scrittore latino del I secolo, nato a Tingentera, presso Gibilterra. Dei suoi scritti possediamo la più antica opera geografica conservata della letteratura latina. Vari sono i titoli riferiti a questa, la 'Chorogràphia' (Descrizione dei luoghi), 'Cosmographia' (Descrizione del mondo) ovvero 'De situ orbis' (La posizione della terra). Questo libro, come si può già identificarePomponio Mela dai suoi titoli, sta ad indicare come da sempre gli uomini hanno innata la voglia di consocenza dello spazio che occupano: che sia esso un bambino che inizia a conoscere lo spazio casalingo od un primitivo che disegna il proprio villagio all'interno di una grotta.
Nel mondo classico greco-latino questa percezione di spazio si fa sempre più analitica e scientifica. Pomponio Mela, nato con molta probabilità al limite massimo del mondo conosciuto ai tempi (Colonne d'Ercole), subisce questo fascino per il mondo, i posti lontani poco conosciuti: non è una caso la sua presunta ibericità! Infatti l'opera, secondo un gusto per le favole mitiche e per i fatti e le cose straordinarie, definisce quali possano essere i confini della terra descrivendo i luoghi più remoti: prendendo come punto di riferimento il Mediterraneo e partendo da Gibilterra segue in senso antiorario una descrizione dell'oikumene cioè dei luoghi abitati in particolari quelli lungo le coste e tratta più sommariamente i territori interni.

Il mappamondo secondo Pomponio Mela

L'interesse descrittivo di Mela si pone sulla descrizione fisica dei luoghi, ma talvolta descrive anche le città. Non era certo un mondo molto grande, rispetto a come lo conoscioamo oggi, quello descritto da Mela, ma dopotutto le navi allora non erano ancora capaci di attraversare i grandi oceani quindi scoprire nuovi continenti, e poco era l'interesse per esplorare l'Africa che veniva denigrata dicendo 'Hic sunt leones' (Là ci sono i leoni). Sicuramente anche la presenza del deserto non favoriva l'interesse ad una conquista politico militare in quei luoghi e la Geografia, nonostante la presunzione di alcuni geografi di condurla sul binario di scienza oggettiva, è in realtà una descrizione dello spazio che risente del periodo storico e quindi del grado di tecnologia e cultura, degli aspetti sociali e anche degli avvenimenti storici del momento in cui viene elaborata la descrizione.
A questo proposito va sottolineato come l'opera di Mela abbia anche degli intenti cortigiani dal momento che sono accennati al suo interno i trionfi del 44 d.C., quindi possiamo dare un periodo, datare l'opera durante l'impero di Claudio.
L'opera ha uno stile caratterizzato da rapidità e concisione che fa credere che potesse essere un compendio destinato per le scuole o per il grande pubblico quasi come una odierna guida per i viaggi. Vengono utilizzate clausole ritmiche che mostrano pretese artistiche dell'autore, ma non mancano talvolta anche errori. La narrazione risente a volte dell'influsso di Cesare, Livio e di Cornelio Nepote. Tra le fonti vanno annoverate le opere di Strabone, Posidonio, Eratostene (per le nozioni) ed Erodoto (per i fatti meravigliosi). Sono inserite a volte digressioni a carattere storico o letterario o anche etnografico per spezzare l'arido tecnicismo della materia.

Tavola Peutingeriana


La Tavola Peutingeriana o Tabula Peutingeriana è una copia del XIII secolo di un'antica carta romana che mostrava le vie militari dell'Impero. Porta il nome dell'umanista e antichista Konrad Peutinger (Augsburg, 14 ottobre 1465 - 28 dicembre 1547), che la ereditò dal suo amico Konrad Bickel. Peutinger avrebbe voluto pubblicare la carta, ma morì prima di riuscirci.
La Tavola è composta da 11 pergamene riunite in una striscia di 680 x 33 centimetri. Mostra 200.000 km di strade, ma anche la posizione di città, mari, fiumi, foreste, catene montuose. Non è una proiezione cartografica, quindi il formato non permette una rappresentazione realistica dei paesaggi nè delle distanze, ma non era questa l'intenzione di chi l'aveva concepita. La carta va piuttosto considerata come una rappresentazione simbolica, una sorta di diagramma come quello di una metropolitana, che permetteva di muoversi facilmente da un punto ad un altro e di conoscere le distanze fra le tappe, ma non voleva offrire una rappresentazione fedele della realtà.

L'immagine mostra i Balcani, l'ex Jugoslavia, il mare Adriatico, l'isola di Cefalonia, la Puglia, la Calabria, la Sicilia e la costa libica

La Tabula è probabilmente basata sulla carta del mondo preparata da Marco Vipsanio Agrippa (64 a.C. - 12 a.C.), amico e genero dell'imperatore Augusto e, tra l'altro, costruttore del Pantheon. Si pensa che la sua redazione fosse finalizzata ad illustrare il cursus publicus (cioè la rete viaria pubblica sulla quale si svolgeva il traffico dell'impero, dotata di stazioni di posta e servizi a distanze regolari, che era stata appunto riordinata da Augusto). Dopo la morte dell'imperatore, la carta fu incisa nel marmo e posta sotto la Porticus Vipsaniæ, non lontano dall'Ara Pacis, lungo la Via Flaminia.
La Tabula mostra tutto l'Impero romano, il Vicino Oriente e l'India, indicando il Gange e Sri Lanka (Insula Trapobane). Vi è menzionata anche la Cina. Vi sono indicate circa 555 città e altre 3.500 particolarità geografiche, come i fari e i santuari importanti, spesso illustrati da una piccola figura. Le città sono rappresentate da due case, le città importanti - come Roma, Costantinopoli, Antiochia - sono segnalate da un medaglione. Vi sono inoltre indicate le distanze, sia pure con minore o maggior precisione.
Il primo foglio rappresenta l'est delle Isole britanniche, l'Olanda, il Belgio, una parte della Francia e l'ovest del Marocco. L'assenza della penisola iberica lascia supporre che un dodicesimo foglio, oggi mancante, rappresentasse la Spagna, il Portogallo e la parte occidentale delle isole britanniche. La Tabula fu infine stampata nel 1591 ad Anversa con il nome di Fragmenta tabulæ antiquæ dal famoso editore Johannes Moretus.
Il manoscritto è generalmente datato al XIII secolo. Sarebbe opera di un anonimo monaco copista di Colmar, che avrebbe riprodotto verso il 1265 un documento più antico. L'originale deve essere posteriore al 328, perché mostra la città di Costantinopoli, che fu fondata in quell'anno. Tuttvia non doveva essere stato aggiornato, perché mostra la città di Pompei, che non fu mai più ricostruita, dopo l'eruzione del Vesuvio nel 79. D'altra parte, vi sono indicate alcune città della Germania inferiore che furono distrutte e abbandonate dopo il V secolo.
La Tabula è attualmente conservata presso la Hofbibliothek di Vienna, in Austria, e detta perciò 'Codex Vindobonensis'. Ne esiste anche una copia in bianco e nero negli archivi della cartothèque de l'IGN, situata a Saint-Mandé, nella prima banlieue di Parigi. La sua datazione è problematica, così come la sua provenienza.

CARTOGRAFIA ISLAMICA

Non è del tutto corretto chiamare questo gruppo di mappe "mappe arabe", perchè in esso sono contenute opere di Persiani, Siriani e persone di altra nazionalità, ma siccome tutti i cartografi di questo gruppo scrivevano in Arabo, il complesso è stato chiamato con il termine di Cartografia Islamica. Può essere suddiviso in tre fasi.

Dobbiamo precisare che una fase non può essere nettamente separata da un’altra per ciò che riguarda il tempo. Si tratta di una suddivisione non cronologica, ma eseguita in base alla forma e ai contenuti. Malgrado la fase del periodo Arabo-Normanno sia incominciata successivamente alle altre due, ci fu un’epoca in cui cartografi arabi furono attivi in tutti e tre i gruppi. Si sa poco della letteratura e della scienza araba precedente l’era mussulmana. Fu soltanto verso la fine del VII secolo, quando gli Arabi incominciarono ad avanzare verso est che incominciò ad affermarsi la scrittura in arabo. Il primo impulso fu dato dal califfo Abd al-Malik (646 - 705), che stabilì l’arabo come lingua ufficiale di governo. Poco prima, Abal-Aswad al-Duali (? - 688) aveva portato a termine una ri­forma dell’alfabeto arabo, che fino a quel momento era stato adattato alla fonetica siriana, ma ora venne adattato a quella araba. La necessità di stabilire i mesi lunari e di fare predizioni astrologiche, richiedeva conoscenze astronomiche, e per conoscere la direzione della Mecca necessitavano conoscenze geografi­che. Per ordine del califfo Al-Mansur, delle tavole astronomiche nel 772 vennero composte da Muhammad ibn Ibrahim, (conosciuto come al-Gazari). Queste tavole erano una traduzione di tavole indiane. Al-Gazari, con il suo Sind-Hind (trattato matematico-astronomico) diede inizio all’astronomia araba.
Questa metodologia indiana tenne banco tra gli Arabi fino al tempo del califfo Al-Mamun (786 - 833) che la fece sostituire dall’astronomia tolemaica. Al-Mamun stabilì un team di traduttori siriani e inviò suoi emissari a comprare manoscritti di Tolomeo a Bisanzio. Nello stesso tempo una serie di os­servazioni astronomiche fu eseguita a Bagdad nell’829 e a Damasco nell’832 e queste formarono la base delle Tavole di al-Mamun dette anche Tavole di Damasco. Il testo di Tolomeo Elenco di località selezionate, forse nella versione successiva di Teone di Alessandria, venne pure usato per quest’opera, ma con i nomi vecchi sostituiti da nomi arabi. Fu lo studioso arabo Muhammad ibn Kathir al-Farghani (morto nell’830) - Alfraganus per gli Europei - che fece conoscere la Geographia di Tolomeo. Egli introdusse anche la suddivisione nelle zone climatiche, i cui confini coincidevano con quelli dell’ecumene (mondo abitato).
Le Tavole di al-Mamun illustravano questa teoria, ma non davano le longitudini e non fornivano niente più che un elenco schematico di città disposte secondo i climi, assieme a informazioni sulle strade, specificamente le distanze tra le città e le direzioni delle strade. Da qui prese le mosse anche la traduzione e l’adattamento di due altre opere di Tolomeo, la Sintassi (in arabo Al magisti) e il Geographia (in arabo Kitab Gagrafiya).

E’ difficile dire se opere arabe autoctone abbiano preceduto queste opere di origine greca. Mappe itinerarie dovevano essere compilate per vari scopi, per missioni diplomatiche in paesi lontani, per esempio in Cina negli anni 704 - 715. Per campagne militari, per l’avanzata in Asia Minore e nell’Oxus, a partire dall’anno 684. Per diverse spedizioni commerciali, per terra e per mare. Tutte queste conoscenze pregresse vennero sostituite, a partire dal secolo IX dalla nuova scienza del Gagrafiya. Un esponente notevole di questa prima fase della cartografia araba fu Muhammad ibn Musa al-Kwarizmi (circa 820), che scrisse il testo descrittivo di una mappa, basando il suo lavoro sul testo tolemaico del Geographia o sulla versione siriana di qualche mappa bizantina. L’opera fu scritta dall' 817 all’826 per ordine del califfo al-Mamun, ma l’unico manoscritto esistente è del 1036, e la prima parte di esso fu perduta e non ritrovata fino al secolo XII. Il manoscritto (nell’università di Strasburgo) è accompagnato da quattro mappe.

Le mappe zonali europee produssero imitazioni tra i cartografi arabi: si hanno dei cerchi la cui parte inferiore è suddivisa in zone climatiche, in ciascuna delle quali si ha una lista di paesi. Si ebbero anche mappe che si limitavano ad indicare le zone climatiche e semplicemente con i disegni di alcuni animali o piante. Ibn-Said produsse tre versioni della stessa mappa, una indicante solo le zone climatiche, un'altra con i confini di continenti e oceani, e finalmente una mappa del mondo senza zone.

La fase successiva di cartografia araba è caratterizzata da collezioni di mappe distinte che accompagnano trattati geografici, malgrado questi trattati abbiano un contenuto abbastanza simile, non mostrano più alcuna traccia di cartografia europea. Possiamo misurare la scarsa qualità attribuita dagli Arabi alle mappe di Tolomeo dal rapido declino della sua influenza sulle loro opere. Questo può suggerire che gli Arabi non vennero a conoscenza delle mappe che divennero note in seguito in Europa con il Geographia di Tolomeo. Le mappe arabe di questo secondo gruppo sono opere schematiche artistiche e ingegnose. Queste mappe sono costruite magistralmente, ma gli itinerari delle strade non indicano le distanze. A causa dei caratteri di uniformità di questa classe di mappe, esse sono state dette gli Atlanti islamici. Un atlante di questo tipo, generalmente consiste di una collezione di 21 mappe: una mappa del mondo, tre carte nautiche (il Mediterraneo, il Golfo Persico e il Caspio) e 17 mappe di separati paesi islamici, con un testo di contenuto standard.

Si è a conoscenza di quattro autori che inclusero delle mappe nei loro trattati geografici. Questi furono Abu Zaid al-Balkhi (920), al-Ishtakhri (934), Ibn Haukal (980) e al-Muqaddasi (985).

La terza fase della cartografia araba è il periodo arabo-normanno, e siccome vi si ebbe la produzione della notevole opera di Idrisi, (1154) potrebbe essere chiamato il Periodo di Idrisi. La sua opera è praticamente unica nel suo genere. Si servì di materiale esistente arabo ed europeo e lo rimodellò a suo modo. Molti in seguito copiarono da lui, ed effettivamente a lui è dovuto il massimo credito per aver impostato lo stile della cartografia di questo periodo. Quando i progressi del commercio arabo verso l’Europa incontrarono l’opposizione di Bisanzio, di Roma e di Venezia, gli Arabi si diressero verso il nord, lungo il Caspio e su per il fiume Volga. Le loro merci penetrarono fino in Lapponia e al Lago Ladoga. La via d’acqua del Volga divenne molto trafficata da Normanni, Russi, Kazachi e Arabi. Vi avvennero perfino incontri tra geografi-cartografi. All’incirca nello stesso periodo i conquistatori Normanni incominciarono la loro spinta verso sud, e nel secolo XI si stabilirono in Italia meridionale. Come è noto, durante il primo medioevo il gap culturale tra il mondo cristiano e l'est bizantino-arabo si era accentuato. Ad esempio, gli Islamici del Califfato Orientale avevano familiarizzato con l'Almagesto e il Geographia. Basandosi sul secondo, un certo numero di trattati arabi, intitolati Kitab surat al-ard (Libro descrittivo della Terra) vennero redatti nel periodo islamico iniziale.

Uno di questi trattati geografici fu composto perfino dal famoso Al-Kwarizmi. I cartografi arabi di questo periodo si rifecero anche per le loro mappe alle specifiche istruzioni di Tolomeo nel Geographia. Occorre dire che i navigatori arabi penetrarono profondamente, oltre che nella costa africana dell'Oceano Indiano, fino a Zanzibar e oltre, anche a nord nelle pianure russe, attraverso i fiumi che sfociavano nel Mar Nero (Dniestr, Dniepr e Volga), e si spingevano correntemente fino in India e in Cina. All'ovest infine erano familiari con la costa africana fino al Golfo di Guinea.

Quale regola generale comunque, i primi cartografi arabi redigevano le coste con molta stilizzazione, non preoccupandosi della aderenza alla realtà. A partire dal secolo XI l'espansionismo arabo dovette subire una battuta d'arresto nell'Italia meridionale, dalla quale gli Arabi furono espulsi (non proprio totalmente) dai Normanni, che vi si stabilirono intorno al 1065-1070. Va detto che i governanti normanni posero speciali cure nel mantenere la cultura araba e anzi nel valorizzarla in tutti i modi.

Il re normanno Ruggero II il Guiscardo, tra le molte scienze, protesse specialmente la geografia. Palermo era divenuta uno dei punti di incontro più celebrati di viaggiatori, mercanti, pellegrini, crociati e studiosi di molte contrade. Non sorprende quindi che alla corte di Re Ruggero prese corpo il proposito di compilare un insieme organico di informazioni geografiche su quanti più paesi possibile, integrato da una carta geografica riassuntiva, il tutto evidentemente da concretizzare in un libro.
Sotto il patronato di re Ruggero, fu chiamato a corte il geografo Abdullah Ibn Idrisi, nato nel 1099 a Ceuta, per la compilazione di questo libro. Il libro doveva contenere le coordinate di un gran numero di località, le distanze tra di esse, la loro distribuzione secondo le zone climatiche. Mappe delle varie regioni dovevano integrare le varie parti. Il titolo del libro, secondo il costume arabo, doveva essere La delizia di colui che desidera viaggiare. Idrisi stesso era stato un notevole viaggiatore, attraverso Francia, Spagna, Inghilterra, a Costantinopoli e in Asia Centrale. Da studente all'università di Cordova aveva avuto accesso a una gran quantità di materiale scientifico proveniente da diversi paesi e colà disponibile. Sembra anche che per la buona riuscita dell'intrapresa, il re e Idrisi abbiamo reclutato un certo numero di "certi unomini intelligenti" da inviare in molti luoghi per eseguire gli opportuni rilievi geografici.
Il libro risultante dal complesso di informazioni richiese più di 15 anni e dovette raggiungere una fama ben ragguardevole se venne considerato l'opera geografica più completa e dettagliata apparsa in Europa nel secolo XII. Il piano di quest'opera è relativamente semplice e allo stesso tempo artificioso. Ciascuna delle sette zone climatiche viene suddivisa in dieci sezioni verticali, arrivando quindi alla suddivisione della superficie terrestre in settanta quadrilateri sferici. Infine, ciascuna di questi settanta quadrilateri viene descritto minuziosamente, con l'accompagnamento di una carta geografica. Naturalmente Idrisi tenne conto anche di descrizioni geografiche di predecessori.

La carta geografica di Idrisi assunse la forma finale di una piastra d'argento, delle dimensioni di 3,5 x 1,5 metri. Purtroppo, nel 1160 questa piastra cadde nelle mani di una moltitudine di fanatici che la distrusse. Nel 1154 pochi mesi prima della morte di re Ruggero il manoscritto dell'opera di Idrisi in latino ed arabo fu completato, assieme alla mappa rettangolare, che constava di 70 fogli, e assieme a una piccola mappa mundi. Ruggero chiamò questo libro Nuzhat al-Mushtak, mentre l'autore lo chiamò Kitab Rudjar (il Libro di Ruggero) e l'insieme delle mappe Tabula Rogeriana.

Le opere di Idrisi sono di eccezionale qualità in confronto a opere similari dello stesso periodo, sia per la ricchezza dei dettagli, ma principalmente per il metodo scientifico che vi era impiegato. Naturalmente, le sue descrizioni di certe regioni, ad esempio i paesi del Mar Baltico, non sono precise, ma mostrano comunque i suoi sforzi di interrogazione dei viaggiatori che avevano visitato quelle regioni. Mostra di conoscere i grandi fiumi Danu (Danubio), Arin (Reno) e Albe (Elba). Nomina la Danimarca e la Snislua (Schleswig).

Purtroppo i contemporanei (specialmente cristiani-europei) di Idrisi mostrarono un incredibile disinteresse per la sua opera, evitando di tradurla in latino. La prima traduzione dell'opera di Idrisi si ebbe a Roma solo nel 1619, e in una forma molto abbreviata. Secondo alcuni autori arabi, Idrisi compose nel 1161 un testo più dettagliato ed una mappa per il figlio di Ruggero, Guglielmo II. Mentre il primo libro era stato chiamato (da Idrisi stesso) “Il divertimento di colui che desidera attraversare la Terra”, il secondo portava il titolo “I giardini dell’umanità e del divertimento dell’anima”. Malgrado questa seconda opera non sia sopravvissuta, una versione abbreviata, dal titolo “I giardini della gioia” (1192) è sopravvissuta. Consiste di 73 mappe, sotto forma di Atlante ed è ora nota come “Il piccolo Idrisi” .

Manoscritti di questa versione sono preservati in molte biblioteche: a Parigi, Oxford, Leningrado, Costantinopoli e al Cairo. L’influenza di Idrisi durò a lungo. Fino al XVI secolo, a Sfax, in Tunisia, una famiglia di cartografi di sette generazioni di nome Sharfi, produceva mappe del mondo basate, sulle mappe di Idrisi, malgrado mostrassero anche delle carte nautiche europee. Nel 1551, un cartografo della famiglia Sharfi produceva un atlante nautico accompagnato da una piccola mappa sinottica rotonda, simile alla mappa di Idrisi.